Il Medioevo

L’arte altomedievale

L’arte classica, con le sue ultime manifestazioni tardo-antiche e paleocristiane, scomparve definitivamente a metà del VI secolo. La scomparsa dell’impero romano e la formazione dei nuovi regni barbarici segnò un periodo di profonda instabilità sociale. La popolazione europea fu letteralmente decimata da carestie, epidemie, guerre, saccheggi e distruzioni varie. La cultura venne del tutto azzerata, per ritornare ad un grado zero di civiltà. Da questo momento la cultura europea ripartì quasi dal nulla.
Uno dei primi effetti di questa nuova precarietà politica e sociale fu la scomparsa della civiltà urbana. Le città si spopolarono progressivamente, fin quasi a scomparire del tutto. La popolazione sopravvissuta ai profondi disastri del VI secolo si spostò a vivere in ambiti rurali. Sorsero villaggi rurali dall’economia di autosussistenza definiti «curtes». La nobiltà di nuovo lignaggio scelse come propria residenza non la città ma i castelli, dislocati in posizioni isolate rispetto ai centri urbani. Con il fenomeno del monachesimo, che si affermò proprio dal VI secolo in poi, anche la cultura religiosa si trasferì in ambiti extra-urbani: i monasteri. Uniche autorità politico-istituzionali che rimasero in alcuni dei principali centri urbani, e ne garantirono una loro larvale sopravvivenza, furono i vescovi.
Il VI secolo rappresentò una cesura anche nella cultura artistica. Il decimarsi della popolazione tolse ogni possibilità di produzione artistica per più generazioni. In tal modo venne ad interrompersi quella trasmissione del sapere (e del saper fare) che si acquisiva proprio nell’apprendistato presso le botteghe e i maestri attivi. Il sapere antico scomparve definitivamente. L’arte classica era oramai definitivamente persa.
Tre sono dunque i fenomeni che maggiormente segnano lo sviluppo della successiva arte altomedievale:

1. la scomparsa della civiltà urbana;
2. la perdita della sapienza tecnica antica;
3. il nuovo significato dato all’arte visiva dalla religione cristiana.

Il decadere delle città comportò ovviamente un crollo anche delle attività architettoniche, e delle attività artistiche ad esse connesse. Scomparve del tutto la grande statuaria, mentre ebbe scarsissime sopravvivenze la decorazione ad affresco. Del resto il calo demografico aveva reso le città superstiti sovradimensionate per le nuove esigenze abitative. I nuovi dominatori barbari, non dotati di una elaborata cultura architettonica, si limitarono a riutilizzare gli edifici già esistenti, sviluppando al contempo un linguaggio architettonico del tutto nuovo. I loro edifici furono plasmati con materiali poveri (soprattutto mattoni) in cui compaiono spesso elementi lapidei (colonne, cornici, trabeazioni, ecc.) provenienti da edifici classici in rovina. In tale contesto, l’unica attenzione dei nuovi costruttori veniva posta solo alla solidità dell’edificio, senza alcuna preoccupazione estetica fondata su canoni di proporzione e di equilibrio tra le parti compositive.

In campo figurativo si determinò una netta tendenza alla riduzione di dimensioni delle opere d’arte. Scomparsa la statuaria, la scultura si manifestò solo in realizzazioni a bassorilievo. Tale tecnica fu resa sempre più stilizzata, negando spesso il concetto stesso di plasticità: i rilievi divennero talmente bassi da finire, in molti casi, per essere semplici disegni incisi sul piano lapideo. Contemporaneamente si sviluppò con maggior intensità l’arte orafa. Ciò fu una naturale conseguenza della nuova economia medievale. Scomparsi le grandi entità statali, come l’impero romano, che garantivano una economia monetaria, l’oro divenne l’unico valore economico certo. Un oggetto d’oro può anche essere un brutto prodotto artistico, ma conserva comunque il suo valore intrinseco di metallo prezioso. Inoltre l’oggettistica d’oro e le pietre preziose erano maggiormente funzionali ad una tesaurizzazione basata principalmente sul formarsi dei patrimoni personali e non collettivi, quali edifici pubblici, chiese ed opere d’arte ad esse connesse. E in un contesto sociale in cui il diritto e la legge vengono sostituite dai patti e dai vincoli di feudalità, appare abbastanza comprensibile che la preoccupazione principale era la difesa della propria individuale situazione, garantita solo ed unicamente dal possesso di un patrimonio personale. Scomparsa la moneta, rimaneva unicamente l’oro a garantire il formarsi della ricchezza, ed era quindi del tutto naturale che l’arte si rivolgesse soprattutto alla lavorazione di questo metallo. E allo sviluppo dell’oreficeria si legò anche lo sviluppo degli smalti, surrogato povero delle pietre preziose, ma che consentiva agli orafi medievali di arricchire di effetti notevoli la loro produzione artistica.

Ad un analogo fenomeno di riduzione di dimensioni si assiste anche nella produzione pittorica. Scomparsi quasi del tutto gli affreschi ed i mosaici, la produzione figurativa si esplicò unicamente negli scriptoria. I monasteri rimasero gli unici centri culturali attivi nell’alto medioevo, e la loro attività principale fu la trascrizione dei testi antichi. In tal modo fu consentita la conservazione e la trasmissione del sapere antico che sarebbe andato altrimenti perso. I monaci dediti alla copia dei manoscritti antichi, detti amanuensi, inventarono due grosse novità: la forma del libro rilegato, che sostituì il rotolo antico, e le illustrazioni inserite nel testo. Nacquero così i codici miniati la cui scomparsa avverrà solo nel XVI secolo quando si afferma definitivamente la nuova tecnica di stampa a caratteri mobili. Le illustrazioni inserite nei codici vennero definite miniature per l’uso prevalente dell’inchiostro rosso, chiamato «minio».

Un’altra caratteristica dell’arte alto medievale è la tendenza alla decorazione aniconica. Motivi geometrici lineari e curvi vengono variamente intrecciati, per ottenere effetti decorativi astratti. Questa tendenza all’aniconismo, riscontrabile sia nelle miniature, sia nell’oreficeria, sia nelle decorazioni scultoree a bassorilievo, si ritrova soprattutto nell’arte del VII e VIII secolo. È il periodo in cui maggiormente la cultura figurativa fu influenzata dalle nuove dominazioni di origine barbarica che si vennero a formare in Europa (goti, longobardi, franchi, ecc.). Questa tendenza aniconica fu un fenomeno molto generalizzato nell’arte di quei secoli, e non solo in Europa occidentale. Anche la cultura artistica bizantina di questo periodo, per effetto dell’iconoclastia decretata dagli imperatori di Bisanzio, rigettò la produzione di immagini. E, nello stesso periodo, un’altra cultura si affacciò ai margini dell’Europa occidentale: quella araba. Sulla spinta della religione mussulmana, che conquistò gran parte dei territori compresi tra l’Asia minore il nord Africa e l’Europa meridionale (in particolare la Spagna e la Sicilia), la nuova cultura araba produsse notevoli effetti sull’arte figurativa occidentale. Ed anche l’arte islamica è sempre stata connotata da una tendenza di fondo di tipo aniconico. La preziosità della lavorazione dei manufatti arabi è sempre giocata su decorazioni astratte, realizzate con notevole fantasia e ricercatezza.
Nel campo dell’arte iconica, il controllo dell’immagine attuata dagli artisti dell’alto medioevo è spesso grossolano e di fattura incerta. Le opere, per la quasi totalità di soggetto religioso, si compongono prevalentemente di simboli. La loro realizzazione formale è sempre basata sulla stilizzazione, mentre il loro contenuto va variamente interpretato come allegorie o metafore simboliche. Questa tendenza al simbolismo, iniziata con l’arte paleocristiana, percorre tutto il medioevo. Nell’iconografia dell’arte medievale tutto acquista un significato simbolico, in particolare gli animali che, per alcuni loro attributi tipici, acquistano valori simbolici ben precisi: il leone è simbolo della forza, il cane della fedeltà, il serpente del peccato, il pavone della vita eterna, la fenice della resurrezione, e così via.

Nel corso dell’alto medioevo, la cultura occidentale appare decisamente indietro rispetto agli splendori dell’arte classica. E questo arretramento apparve chiaro anche alla coscienza degli stessi protagonisti del tempo, che, in vario modo, già sentono il fascino di un passato di maggiore forza e splendore artistico. La tendenza a far rinascere la classicità è fenomeno che in Occidente appare per la prima volta con il formarsi del regno carolingio di Carlo Magno. Anche nella denominazione di Sacro Romano Impero, appare chiara la volontà di ricollegarsi all’eredità dell’antico. Tuttavia, la conoscenza del passato era scarsamente posseduta, e l’antico preso a modello venne in realtà filtrato dalla cultura bizantina, che con il mondo classico conservava comunque una linea di continuità diretta. A parte la considerazione sugli esiti di tale rinascenza artistica carolingia, il fenomeno fu di notevole importanza per invertire il segno dell’arte occidentale, riportandola nel canale di una riscoperta del naturalismo che traesse ispirazione dalla realtà e dalla natura, di contro a quell’antinaturalismo la cui ispirazione erano unicamente le sacre scritture, con tutto il loro carico di concettualizzazioni che potevano essere tradotte in immagini solo attraverso la funzione segnica dei simboli.

L’architettura altomedievale

La tradizione occidentale, che, dopo la scissione dell’impero romano, mantenne caratteri originali rispetto all’arte bizantina, esaurì la sua vitalità a seguito della calata dei barbari. Le invasioni di queste popolazioni, oltre a dissolvere l’impero romano d’occidente, resero precarie le condizioni di vita, al punto che la produzione artistica scomparve quasi del tutto. La cesura più netta avvenne a metà del VI secolo, quando una serie di epidemie, carestie, guerre, saccheggi ed altro, ridussero sensibilmente la popolazione europea, creando una soluzione di continuità nella trasmissione del «saper fare» artistico ed architettonico. I sopravvissuti a questo periodo di calamità, morti i loro padri che ancora conservavano alcune conoscenze tecniche in materia di architettura, si trovarono a rivivere un grado zero della civiltà. Bisognava reinventarsi tutto, partendo dal nulla.
I barbari non portarono con sé una propria tradizione costruttiva, ma, nei vari regni che formarono, contribuirono al formarsi di tecniche locali. La loro produzione rimase però di scarsa entità, muovendosi tra due coordinate: edifici molto semplici e dall’aspetto spoglio, oppure rielaborazione di modelli tardo-antichi e bizantini, quando dovevano realizzare edifici dal maggior significato simbolico o politico.
La loro tuttavia rimase una produzione molto limitata, giacché l’alto medioevo si caratterizzò per la tendenza a vivere non in ambiti urbani – le città – ma in ambiti rurali. L’economia decadde a livelli molto primitivi, l’agricoltura veniva pratica in forme di auto-sussistenza, le funzioni politico-amministrative, che erano esercitate nelle città, scomparvero del tutto.
L’alto medioevo si caratterizzò, infatti, per un’istituzione molto particolare, il feudalesimo, che sostituì il diritto romano con il suo corpus legislativo e le funzioni di magistrature connesse. Scomparvero i tribunali e le cariche amministrative in genere, restando, a base del contratto sociale, non la legge ma il patto feudale, che veniva a coinvolgere le persone fisiche in rapporti di dipendenza personali molto stretti.
Così le città persero molto delle loro funzioni, e finirono per languire in uno stato di semi abbandono. I signori feudali preferivano vivere in castelli che sorgevano al di fuori delle città; le popolazioni urbane finirono anch’esse per spostarsi nei dintorni dei castelli, o in villaggi rurali – le «curtes» – che si basavano su un principio di auto sussistenza agricola ed artigianale. Gli unici centri di vita religiosa che rimasero in ambito urbano furono i vescovati, mentre anche la vita monastica si orientò in ambiti extra urbani: infatti, i maggiori monasteri dell’epoca sorsero in posizione rurale. Da rilevare che questi monasteri rimasero gli unici centri di vita culturale, grazie ai loro «scriptoria», che hanno tramandato la cultura letteraria e filosofica dell’antichità classica.
Appare evidente che le città si ritrovarono sovradimensionate per le esigenze dell’epoca, perciò si provvide per lo più a riutilizzare gli edifici già esistenti, piuttosto che costruirne di nuovi. Ed anche quando si andò alla costruzione di nuovi edifici, questi riutilizzarono molti dei materiali di spoglio che provenivano da altri edifici in rovina. Un edificio alto medievale, se ha delle colonne, queste provengono sicuramente da qualche edificio romano. Infatti la tecnica costruttiva del tempo si basava non più sulla lavorazione della pietra e del marmo, ma solo sull’impiego del mattone e del legno.
In questa fase inizia l’elaborazione di quelle tecniche costruttive, che dopo l’anno mille, dettero luogo alla fioritura dell’architettura romanica. Non a caso questo periodo viene spesso definito, specie in riferimento alla vicenda architettonica, «pre-romanico».
Le poche costruzioni note di questo periodo sono in genere chiese dalla modesta dimensione, che proseguono la tipologia basilicale delle prime chiese paleocristiane. Le campate, però, non sono in genere separate da colonne, ma da pilastri di mattoni. Esse sono sormontate da archi, e al di sopra sorreggono rudimentali capriate lignee. Un discorso a parte bisogna invece fare per i pochi edifici di carattere regale, quali le cappelle palatine, che sorsero in questi secoli. Per il maggior carattere aulico che esse dovevano avere, furono progettate sul modello degli edifici classici, che però vennero ad essere interpretati secondo una visione bizantina.
Così la cappella Palatina di Aquisgrana, voluta da Carlo Magno, imitava in maniera molto chiara il San Vitale di Ravenna, mentre la chiesa di S. Sofia di Benevento, voluta dal duca longobardo Arechi II, presentava un’originale sintesi di visioni spaziali tardo romane e bizantine, con tecniche costruttive del primo medioevo occidentale. In ogni caso il modello rimase Bisanzio, che con la sua architettura conservava una tradizione che in occidente si era quasi spenta.

L’ALTARE D’ORO DI VOLVINIO

L’ALTARE D’ORO DI VOLVINIO

L’ALTARE D’ORO DI VOLVINIO

L’altare della basilica di Sant’Ambrogio è costituito da un grande “cofano” rivestito di lastre metalliche istoriate, nelle quali si sommano le tecniche dello smalto, dell’oreficeria e della lavorazione a sbalzo di oro (sulla faccia rivolta verso la navata) e d’argento dorato (sulla faccia rivolta verso l’abside e sui due lati minori). A dividere le facce dell’altare in scomparti, una serie di fasce di smalti lavorati a “cloisonnè” con prevalenza dei colori verde, azzurro, bianco, rosso e porpora.
La fronte rivolta verso i fedeli ospita al centro l’immagine di Cristo in gloria seduto sul trono con la croce come scettro, circondato dai simboli degli evangelisti e dagli apostoli a gruppi di tre. I due sportelli laterali, ospitano dodici storie tratte dai Vangeli. I fianchi laterali furono dedicati a raffigurazioni di santi vescovi e martiri. Infine la parte ad uso esclusivo del clero fu ornata al centro con uno sportello con due ante apribili, decorato con quattro tondi istoriati raffiguranti, nella parte alta, gli Arcangeli Michele e Gabriele, e in basso, Ambrogio che incorona Angilberto II e lo scultore Volvinio. Gli altri due sportelli laterali, anch’essi divisi ognuno in sei riquadri, ospitano dodici episodi della vita di Sant’Ambrogio.

Notizie storico-critiche

Progettato per custodire le tombe del santo patrono di Milano e dei Santi martiri Gervasio e Protasio, fu lo stesso Ambrogio a specificare in una lettera alla sorella Marcellina di voler essere sepolto sotto di esso, per restituire così definitivamente alla Chiesa le sue spoglie mortali rinnovando il sacrificio stesso di Gesù. In consonanza con quanto già accadeva nella basilica di San Pietro a Roma, nel IX secolo all’interno della basilica milanese furono rinnovate per volontà del vescovo Angilberto II (824-859) la zona dell’abside e della relativa cripta, con la creazione di un altare posto al centro del rialzato presbiterio provvisto di sportelli apribili per poter spargere sulle tombe incenso e profumi.
L’opera si intende realizzata e diretta da uno dei pochi artefici di epoca alto-medievale di cui ci sia pervenuto il nome, il maestro germanico “Wolvinius”, che probabilmente realizzò personalmente solo la fronte rivolta verso il clero, caratterizzata da figure plastiche e definite con vigore, distaccate dal fondo non solo grazie alle bordature d’oro ma, soprattutto, per il loro plasticismo e la definizione netta dei contorni. A dispetto dell'”horror vacui” tipicamente medievale (la paura di lasciare vuoti nelle rappresentazioni, da cui una sovrabbondanza di personaggi o motivi decorativi), Volvinio caratterizza invece il suo lavoro con il frequente ricorso a “pause”, ovvero a spazi che di volta in volta aiutano ad evidenziare singoli gruppi di figure o volumi separandoli dalle ambientazioni. La sua opera tradisce una cultura figurativa complessa, vicina ai temi dell’antico tanto quanto all’arte dell’impero carolingio.

Diversa è l’opera dei maestri che operarono sulla fronte rivolta ai fedeli, in cui figure e paesaggi vengono fusi insieme creando gruppi figurativi in cui le masse si confondono e a dominare è qui la luminosità del metallo prezioso. I personaggi, meno plastici rispetto a quelli di Volvinio, spesso vagano in uno spazio indefinito oppure si sovrappongono alle architetture che dovrebbero contenerli, creando così composizioni di grande vitalità, quasi febbrili. Sicuramente maggiore rispetto al maestro è qui l’apporto dato dalla conoscenza dei manoscritti illustrati e dell’arte bizantina,
soprattutto nella redazione dei volti di alcuni personaggi con il viso allungato, la bocca piccola, i capelli fluenti e le sopracciglia arcuate.
L’altare della basilica di Sant’Ambrogio di Milano è uno dei migliori esempi di arte carolingia in Italia. Fu fatto costruire intorno all‘840 da Angilberto II, vescovo di Milano. Anche se è attribuito interamente all’orefice Vuolvinio, del quale però non ci sono arrivate notizie biografiche, è certamente opera di diversi artisti, da questi coordinati.

E’ un manufatto di grande valore, un vero e proprio gioiello. Lamine d’oro e d’argento dorato di circa 2,5 cm di spessore lavorate a sbalzo a filigrana con smalti e 4.372 gemme rivestono completamente la base di legno.

La parte anteriore presenta un pannello centrale con una grande croce gemmata con al centro un Cristo trionfante in trono, il tetramorfo (i simboli degli evangelisti) sui bracci della croce, e gli apostoli, ai quattro angoli. Ai lati del pannello centrale, 12 formelle raffigurano scene della vita di Cristo.

Altare di Sant’Ambrogio. Parte frontale

Altare di Sant’Ambrogio. Parte frontale

 

Altare di Sant’Ambrogio, Parte frontale (particolare)

Altare di Sant’Ambrogio, Parte frontale (particolare)

Sul lato posteriore, la parte centrale è occupata dalla ‘fenestrella confessionis’ formata da due sportelli da cui era possibile vedere l’urna delle reliquie deposte sotto l’altare. Gli sportelli sono decorati con 4 cerchi, 2 nella parte superiore nei quali sono raffigurati gli arcangeli Michele e Raffaele e 2 che riportano due scene: una con Ambrogio che incorona Angilberto che gli presenta l’altare, e l’altra con Ambrogio che incorona Vuolvinio ‘magister phaber’. A destra e sinistra della ‘fenestrella’ 12 formelle rappresentano episodi della vita di Sant’Ambrogio.

Altare di Sant’Ambrogio. Retro

Altare di Sant’Ambrogio. Retro

 

Altare di Sant’Ambrogio. Retro. ‘Fenestrella confessionis’

Altare di Sant’Ambrogio. Retro. ‘Fenestrella confessionis’

I due lati minori presentano una grande croce gemmata al centro chiusa in una losanga e circondata da angeli e da santi che venerano la croce

Altare di Sant’Ambrogio. Lato laterale

Altare di Sant’Ambrogio. Lato laterale

Quest’altare viene a sostituire quello della primitiva chiesa del secolo IV fatta costruire da Sant’Ambrogio, consacrata con le reliquie dei martiri Gervasio e Protasio, alle quali vennero aggiunte quelle dello stesso Ambrogio. L’altare è la parte più vistosa della ristrutturazione portata a termine dal vescovo Angilberto, che aveva come finalità affermare la potenza della Chiesa milanese fondata da Sant’Ambrogio e consacrata con le reliquie dei due martiri. Quindi fece alzare il presbiterio sistemando nella cripta i tre corpi, visibili anche dalla ‘fenestrella’.

Quando Angilberto fece la ristrutturazione della basilica trovarono che le reliquie erano sistemate in due sepolture: una con quelle dei due martiri e l’altra con quelle di Ambrogio. Le spoglie dei tre santi furono traslate in un unico sarcofago di porfido che venne appoggiato sopra le due sepolture precedenti ma in senso trasversale.

Nel 1874 le reliquie dei santi furono deposte in una nuova urna più preziosa, in argento e cristallo.

Reliquie dei martiri Gervasio e Protasio e di Sant’Ambrogio. Basilica di Sant’Ambrogio, cripta

Reliquie dei martiri Gervasio e Protasio e di Sant’Ambrogio. Basilica di Sant’Ambrogio, cripta

Verso la metà del secolo XIX l’altare fu ‘rivestito’ da una sorta di ‘cassaforte smontabile’ che lo proteggeva da possibili furti, guerre ed altri pericoli. Veniva scoperto solo in casi eccezionali. Durante i due conflitti mondiali sia l’altare che la ‘cassaforte’ furono trasferiti nei sotterranei dei Musei Vaticani a Roma. Dovuto poi ai sempre più frequenti eventi che obbligavano a mettere in vista l’altare, per esempio in occasione di visite importanti, si decise negli anni 70 del secolo scorso di sostituire la ‘cassaforte’ con un vetro corazzato che lo rendesse permanentemente visibile, ed è come si presenta attualmente.

La ‘cassaforte’, sostituita da un’urna di vetro

La ‘cassaforte’, sostituita da un’urna di vetro

L’aspetto attuale della cripta è dovuto agli interventi del XIX secolo che seguirono alla ricollocazione dei tre corpi all’interno di un vano ricavato sotto il ciborio, dove si trova l’urna con i corpi dei santi.

Ma l’importanza di queste reliquie, va al di là del loro valore devozionale. In esse si riassume un’abile manovra di Ambrogio in un momento di particolare crisi nell’impero romano, sia dal punto di vista politico che religioso.

Con la divisione dell’impero romano in due parti alla fine del III secolo (Oriente ed Occidente), gli imperatori occidentali risiedevano preferibilmente a Milano. La comunità religiosa si dibatteva fra dottrina ariana e nicena (la prima seguita dall’imperatore Valentiniano II e sua madre Giustina). Nonostante il fatto che Ambrogio non fosse un religioso, ma il governatore della città, fu eletto vescovo nel 374 per cercare di porre ordine in questa difficile situazione. Riuscì, infatti ad imporre la linea ufficiale proclamata dal primo Concilio di Nicea del 325, presieduto dall’imperatore Costantino il Grande.

Da parte sua Teodosio, che era l’imperatore di Oriente, nel 380 promulgò l’editto di Tessalonica nel quale si proclama il cattolicesimo religione di stato, secondo il credo niceno e, nel 381 proclamò eresia l’arianesimo.

Nonostante ciò nel 386 Valentiniano promulgò una legge a salvaguardia del credo ariano che provocò grossi scontri, ma Ambrogio riuscì a controllare la situazione. Per rafforzare la supremazia della via ufficiale, tra il 379 e il 386 fu edificata la basilica di Milano per volere di Ambrogio, in una zona in cui erano stati sepolti i cristiani martirizzati dalle persecuzioni romane, chiamata inizialmente ‘Basilica Martyrum’. E per la consacrazione della basilica aveva bisogno di reliquie. Ambrogio fece scavare in un piccolo cimitero fuori città dove lui sapeva che erano sotterrati dei martiri. Così scoprirono due corpi che furono identificati come i martiri Gervasio e Protasio. Un cieco strofinò un panno sulle ossa dei martiri e recuperò la vista. I resti furono istallati nella basilica e Ambrogio colse l’occasione per ribadire la grande potenza di queste reliquie, attraverso le quali si poteva capire la trascendenza del cristianesimo niceno.

Abside della basilica di Sant’Ambrogio. Ai due lati di Cristo sono raffigurati i due martiri Gervasio e Protasio. Sant’Ambrogio appare ai due lati della composizione in due scene: alle esequie di San Martino di Tours (sinistra) e in piedi affianco all’altare (destra).

Abside della basilica di Sant’Ambrogio. Ai due lati di Cristo sono raffigurati i due martiri Gervasio e Protasio. Sant’Ambrogio appare ai due lati della composizione in due scene: alle esequie di San Martino di Tours (sinistra) e in piedi affianco all’altare (destra).

Gervasio e Protasio, morti a Milano nel III secolo, furono due fratelli gemelli martirizzati durante le persecuzioni di Decio o Valeriano oppure qualche anno dopo, durante la persecuzione di Diocleziano. La tradizione vuole che siano stati figli di San Vitale e Santa Valeria.

Nessuno conosceva l’identità di queste spoglie e Paolino di Milano, segretario e biografo di Ambrogio, narra che i due corpi furono riconosciuti grazie a una rivelazione che lo stesso Ambrogio ebbe. In realtà Ambrogio, nelle lettere alla sorella Marcellina, affermò di avere avuto un presentimento e non una vera e propria rivelazione.
Con la deposizione delle reliquie di Gervasio e Protasio nella nuova basilica Ambrogio introdusse, per la prima volta nella tradizione della Chiesa occidentale, la traslazione dei corpi dei martiri a scopo liturgico. Questo non solo ebbe un influsso notevole in tutto l’Occidente, segnando una svolta decisiva nella storia del culto dei santi e delle loro reliquie, ma fu anche determinante per Ambrogio nel guadagnare l’approvazione dei fedeli cristiani di Milano nella controversia con gli ariani.

Possiamo quindi affermare che, con questo gesto, venne ufficializzato il culto delle reliquie diventando, allo stesso tempo una dimostrazione del potere sacro, evidentemente incanalato dai ministri della Chiesa, che rafforzava il suo potere nei confronti di Teodosio. In quel momento Teodosio era diventato l’imperatore incontrastato di tutto l’impero quando sventò un tentativo di colpo di stato orchestrato da Eugenio (394), che viene proclamato imperatore d’Occidente da parte di truppe senatoriali dopo aver fatto uccidere Valentiniano II.

Teodosio si stabilisce quindi a Milano dove, per quando concerne il potere religioso, inevitabilmente si scontra con Ambrogio. Infatti, la promulgazione di una serie di editti antipagani da parte di Teodosio implica che l’unione politica dell’impero e quella religiosa siano controllate entrambe dall’imperatore. Teodosio e Ambrogio, però, trovarono il modo di intendersi, un’intesa che durò fino alla morte dell’imperatore, in occasione della quale Ambrogio pronunciò il famoso discorso funebre, nel quale viene ritratto come paladino della fede cristiana. In questo discorso viene citata, per la prima volta, la leggenda del ritrovamento della Croce da parte di Sant’Elena, ripresa successivamente da Jacopo da Varazze nella sua Legenda Aurea.

Basilica di San Pietro – Tuscania (VT)

Sorge sull’omonimo colle dove, con molta probabilità, si ergeva l’acropoli etrusca.
Perfettamente collocata su uno spiazzo erboso tra il Palazzo dei Canonici e tre possenti torri di difesa, testimonianza dell’importanza strategica dell’area fu, quasi certamente, fondata nell’VIII secolo, poi quasi completamente riedificata nel corso dell’XI secolo, prolungata nel secolo successivo e completata della facciata nel corso del XIII secolo.

Basilica di San Pietro – Tuscania (VT)

Basilica di San Pietro – Tuscania (VT)

Aspetto esterno

La bellissima facciata tripartita è avanzata rispetto al resto del corpo, con la parte centrale a capanna e le ali laterali ornate di archi databili al XII secolo.
Il fronte centrale, realizzato un secolo dopo, è costituito da un portale, opera di maestranze romane, sormontato da una lunetta decorata con un mosaico, la ghiera esterna mostra una decorazione figurata dove rozze figurazioni di animali sono seguite da raffigurazioni di attività umane, forse un ciclo dei Mesi non sempre interpretabile.
La lunetta, l’architrave e gli stipiti sono coperti da intarsi cosmateschi.

Basilica di San Pietro – Tuscania (VT)

Basilica di San Pietro – Tuscania (VT)

Sopra di esso è presente un loggiato in marmo con capitelli ionici, ai lati della loggia due figure di grifoni sporgono verso l’esterno.
Insieme alle soprastanti protomi bovine costituiscono un altro elemento di potente dinamismo plastico della facciata.
Al di sopra si trova il meraviglioso rosone cosmatesco a tre cerchi inscritto in un quadrato, finemente decorato con motivi geometrici e vegetali ed attorniato dalle figure marmoree dell’Angelo, del Vitello, del Leone e dell’Aquila, rappresentazioni dei quattro evangelisti.

Basilica di San Pietro – Tuscania (VT) - Loggiato

Basilica di San Pietro – Tuscania (VT) – Loggiato

Ai lati si aprono ampie e delicate volute vegetali e fra di esse, a sinistra, si trovano medaglioni con la rappresentazione di due angeli e di quattro Padri della Chiesa, santi, mentre, a destra, in contrapposizione simbolica, sono rappresentate figure fantastiche e demoniache.
Il regno del Bene è raffigurato da Atlante che sostiene la Chiesa, simboleggiata da una ricca vegetazione che racchiude l’agnello di Dio. Il Male è incarnato da un demone a tre teste dalle cui bocche fuoriescono arpie e sirene.
I portali laterali, completamente costruiti in tufo, sono inseriti tra le semicolonne che sorreggono l’arcatura cieca. Il portale sinistro è a doppio rincasso al cui interno sono inserite colonne tortili che nell’archivolto proseguono in un elemento toroidale che prende la forma di un’unica foglia a nervature parallele arrotolata su sé stessa.

 

 

 

 

 

 

All’interno della lunetta un rilievo piatto raffigura un’aquila araldica. I capitelli sono di tipo classico e sono decorati con un profondo traforo del trapano. La ghiera esterna è decorata a foglie uncinate fortemente aggettanti. Tra gli archi ciechi sono inserite due protomi leonine romane di reimpiego.
Archetti pensili su peducci allungati delimitano la cornice orizzontale e la fascia sottogronda delle ali della facciata. Il portale destro ha una struttura analoga ma all’interno della lunetta trova posto un rozzo rilievo raffigurante leoni, uccelli e serpenti. I capitelli degli archi ciechi mostrano interessanti variazioni dei motivi fogliati di ispirazione classica.

Il prospetto absidale è dominato dall’alto cilindro absidale che sorge direttamente sulle strutture che racchiudono la cripta della chiesa. Su quell’area sorgeva anche il palazzo vescovile, protetto da una cerchia di mura della quale si conservano alcune torri. La pesante struttura in tufo è alleggerita alla sommità del cilindro da fasce sovrapposte ad alveoli, zig-zag di mattoni ed archetti pensili. Il cilindro è poi scandito da numerose sottili lesene.
A livello del presbiterio una netta cesura evidenzia il fatto, poco comune, che quest’ultimo ha un’ampiezza inferiore a quella della navata. Questa anomalia, unita al fatto che le colonne divergono procedendo verso Ovest, evidenzia una seconda fase costruttiva portata a termine forse da maestranze meno esperte.
I fianchi sono scanditi da lesene nascenti da un alto zoccolo e da due fasce di archetti pensili.
Il lato meridionale ha una struttura analoga ma con lesene più brevi e rade.
La parete del cleristorio è scandita da archi su lesene al di sopra dei quali si trovano decorazioni a zig-zag in cotto.
Su entrambi i lati la parte iniziale della navata è caratterizzata da archi ciechi su semicolonne, più alte sul lato Nord, dai capitelli classici che testimoniano di una attività di ricostruzione delle prime campate, forse a seguito di un terremoto, avvenuta forse alla fine del XII secolo.

Interno

L’interno, a pianta basilicale, è costituito da tre navate separate da tozze colonne e pilastri su colonne con capitelli di stile classico, sia medievali che di reimpiego.
Gli archi sono a doppia ghiera con mensole aggettanti, caratteristica questa che è ripresa anche nell’arco trionfale. Tra le colonne dei sedili delimitano al parte centrale ancora ricoperta con uno splendido pavimento cosmatesco ad intarsio con andamento geometrico, decorato motivi a quinconce creati da nastri continui intrecciati. Risalente al Duecento ed è opera di maestranze lombarde, ricopre anche il presbiterio.
Delle transenne dividono la navata dal presbiterio rialzato sulla cripta.
Le mensole, interpretate come un motivo di origine araba, appaiono solo sul lato della navata centrale.
Le mensole delle prime due campate sono scolpite con semplici motivi geometrici anche se non mancano alcuni soggetti figurati.
Le prime campate orientali sono il risultato di una seconda campagna costruttiva durante la quale si è forse voluto dare un maggior contenuto decorativo all’opera.

I capitelli delle colonne costituiscono un insieme molto interessante. Quelli di controfacciata abbinano un basso capitello fogliato ad un alto abaco decorato a fioroni.
Due dei capitelli riprendono il tipo ionico. Le enormi volute li rendono sproporzionati rispetto alle colonne; altri sono reinterpretazioni del tipo corinzio. Altri due capitelli sono classici di reimpiego.
Al livello del cleristorio è ripreso il tema degli archi ciechi visto all’esterno.

L’ultima campata della navata è sorretta da un pilastro a nucleo quadrato con semicolonne addossate.
Il presbiterio si inserisce su un complesso pilastro all’interno del quale è ricavata la scala di accesso all’ambone. All’interno due semicolonne supportano l’arco trionfale. Due archi trionfali dividono anche le navatelle dal presbiterio. L’arco destro assume un profilo a dente di sega molto originale, frutto forse di un’influenza islamica

La zona presbiteriale è sorretta da due arconi che l’attraversano per tutta la larghezza. Sul lato occidentale del presbiterio, ai lati dell’ampia abside centrale, si aprono due piccole absidiole ricavate nello spessore della muratura. Il tetto è a capriate lignee.
Lungo la navata di sinistra sono allocati numerosi sarcofaghi etruschi, tra questi v’è anche quello, paleocristiano, ove la tradizione colloca i resti mortali dei martiri Secondiano, Veriano e Marcelliano, patroni di Tuscania. Lungo la parete sinistra si trovano resti di una decorazione a fresco, che, probabilmente, in origine la ricopriva per intero. Si riconosce un santo, forse uno dei patroni di Tuscania.
In una nicchia un affresco raffigura la Trinità.

Seguono una serie di affreschi votivi distaccati, molto danneggiati.
Al termine della navata si trova l’ingresso secondario alla cripta sovrastato da un nicchione affrescato con il Battesimo del Cristo. L’area presbiteriale è delimitata verso la navata da transenne composte utilizzando elementi altomedievali. Il presbiterio rialzato ospita un ciborio risalente all’XI secolo, vi è una iscrizione con data 1093. Accostato alla parete absidale si trova il seggio vescovile: San Pietro fu Cattedrale di Tuscania sino al XV secolo. L’ambone, di epoca romanica, è costruito utilizzando elementi alto medievali.
Sul lato sinistro dell’arco trionfale è raffigurata una Madonna col Bambino. Sull’arco dell’abside sono affrescati vari soggetti di difficile interpretazione. Purtroppo la maggior parte della decorazione pittorica absidale è andata perduta col terremoto del 1971, fra cui un affresco di scuola romana con influenze bizantine, rappresentante Cristo Pantocrator circondato da angeli risalente agli anni a cavallo fra XI e XII secolo.
Sul tamburo San Pietro in cattedra benedicente e anche angeli, apostoli e simboli divini, clipei di santi.
Sul lato destro dell’arco trionfale è raffigurata una Madonna del Perdono.

Nella navata di destra si nota un affresco staccato di difficile interpretazione.
Poi un nicchione affrescato con Cristo benedicente fra due vescovi, un ciborio risalente al XIII secolo e l’ingresso principale alla cripta.

La Cripta

Molto interessante è la cripta, risalente al XII secolo, struttura suddivisa in nove navate coperte da volte a crociera che scaricano il peso su 28 colonnine di reimpiego di età romana e medievale.
L’altare è orientato e pertanto posto dalla parte opposta rispetto a quello del presbiterio.
Al di sopra un affresco raffigura la Madonna tra due santi; intorno i volti di altri santi all’interno di clipei.
Sono presenti altre tracce di affreschi, di difficile interpretazione e un affresco risalente al XIV secolo, attribuito a Gregorio d’Arezzo, che rappresenta i Santi Protettori di Tuscania Variano, Secondino e Marcelliano.

Uscendo dalla cripta in direzione della navata destra si accede ad un piccolo locale a due navate di funzione ignota, forse un battistero, più probabilmente un ambiente sopravvissuto della prima cappella costruita per contenere i resti dei martiri protettori di Tuscania.

Si perviene poi ad un corridoio, con una parete che presenta tracce di opus reticolatum, le cui volte sono sorrette da colonne addossate dai capitelli scolpiti.
Uno dei capitelli presenta un volto umano rozzamente scolpito tra tralci; gli altri sono ricoperti con motivi stilizzati.