ARTE ARABO-NORMANNA IN SICILIA

Palermo-Arabo-Normanno e le cattedrali di Cefalù e Monreale.

Dopo tre secoli di occupazione bizantina e due di dominazione musulmana, i re normanni si insediano in Sicilia nell’ultima metà dell’XI sec. Nel termine “arte arabo-normanna” si nasconde una sottile combinazione di elementi islamici (fatimidi, abbasidi e magrebini), romanici (veicolati dalle frequentazioni dei sovrani, tra cui alcuni Benedettini franco-normanni), latini (portati da monaci italiani che seguono i Normanni durante il loro, viaggio nel sud Italia) e bizantini (provenienti da vari monaci e da un patriarcato greco-bizantino).

IL SEGNO DELL’OCCUPAZIONE ARABA

La conquista araba ha inizio nell’827, nella regione di Trapani. Durante i due secoli e mezzo di potere, questo popolo trasforma l’aspetto della Sicilia, spostando la capitale da Siracusa a Palermo, modificando il paesaggio con lavori d’irrigazione e nuove coltivazioni provenienti dall’Oriente, ma soprattutto divulgando delle forme fino a quel momento sconosciute. In questo periodo vengono eretti numerosi edifici, sempre costruiti, in perfetta armonia con la natura: palazzi, moschee, minareti, giardini e fontane. In campo architettonico, viene introdotta in Sicilia una nuova tipologia decorativa: le figure umane lasciano il posto alla geometria e agli arabeschi, l’interno delle abitazioni viene abbellito dai colori della ceramica, mentre i soffitti si ricoprono di ricchi alveoli a stalattiti.
Ai giorni nostri non sussiste purtroppo alcun monumento di rilievo appartenente all’epoca musulmana. Questi splendidi palazzi arabi spariscono infatti con l’arrivo dei Normanni, che se ne appropriano per riallestirli e modificarli, rendendo impossibile distinguerne l’antica funzione. Dell’operato arabo, permangono unicamente alcuni elementi decorativi e il tracciato sinuoso e irregolare delle vie, tuttora visibile nel tessuto urbano di certe città come Palermo.

 

L’ECLETTISMO NORMANNO O LA FUSIONE DEI TRE STILI ROMANICO, BIZANTINO E ARABO

Tutta la ricchezza dell’arte arabo-normanna nasce da un forte desiderio, da parte dei sovrani normanni, di emulare lo sfarzo di Bisanzio, città che sognano di conquistare. Grandi costruttori, i nuovi capomastri siciliani fanno uso di tutte le loro energie creative per erigere monumenti d’incomparabile splendore. A partire dalla fine dell’XI sec. e durante tutto il secolo successivo, vengono innalzate grandi chiese ideate da monaci-architetti, sia greci che francesi e latini (Benedettini ed Agostiniani), ispirate alle forme classiche: pianta basilicale a croce latina o greca, torri e portale sulla facciata, coro spesso Sormontato da una cupola. Questi edifici vengono contemporaneamente abbelliti da mosaici bizantini realizzati da artisti greci e da ornamenti arabi (archi a ferro di cavallo, decorazione fatta di arabeschi ed alveoli).
Ne risulta oggi un curioso insieme di edifici, tutti risalenti al XII sec., che offrono la particolarità di associare questi tre stili.

 

L’INFLUENZA BIZANTINA

Nell’architettura degli edifici religiosi, quest’influenza è caratterizzata dalla scelta della pianta centrata quadrata, nel cui interno è inserita una croce greca con volta a botte (come nella Martorana, nella chiesa di S. Nicolò Regale di Mazara del Vallo o in quella della SS. Trinità di Delia a Castelvetrano). Nella struttura, si riconosce la tradizionale cupola siculo-bizantina, posta alla crociera del transetto su un tamburo poligonale. Anche per i capitelli, l’arte arabo-normanna si rifà a quella bizantina, introducendo un pulvino tra il capitello e l’imposta dell’arco (visibile nel Duomo di Monreale). L’assenza di rappresentazione della figura umana nella scultura bizantina può essere spiegata per tre ragioni: innanzitutto l’antipatia dei cristiani nei confronti dell’arte statuaria pagana, in secondo luogo il movimento iconoclasta (che bandisce le immagini sacre) e infine, l’influenza araba. Si dà quindi alle rappresentazioni scultoree un aspetto più che altro geometrico. In quanto alla tecnica, la pietra non viene più modellata in superficie bensì lavorata in profondità, con l’ausilio di un trapano frequentemente usato per eseguire piccoli fori. Ne risultano a volte sculture talmente traforate da sembrare vere e propri ricami di pietra. La pietra profondamente scavata permette di evidenziare maggiormente le figure in rilievo, scavandone profondamente i contorni (poi anneriti con il mastice).
La più ricca ed evidente espressione dell’arte bizantina è tuttavia il mosaico che, utilizzato per ricoprire immense superfici con personaggi e vari motivi decorativi, diviene ben presto un’arte monumentale. A parte il caso della Martorana che rispetta pienamente i canoni bizantini, la disposizione del programma iconografico (teologico e liturgico) nelle chiese siciliane è modificata per facilitarne la visione dal trono reale (a Monreale e nella Cappella Palatina a Palermo). Così, sia a Cefalù che a Monreale, il Cristo Pantocratore è raffigurato in cima all’abside, mentre nelle chiese greco-bizantine si trova al centro della cupola. Infine, i re normanni si fanno rappresentare nelle sezioni tradizionalmente riservate ai santi, con i simboli dei basileus (imperatori bizantini) al fine di affermare il proprio potere.

 

L’INFLUENZA MUSULMANA

Gli Arabi portano con sé nuovi metodi di costruzione e di decorazione, che permettono lo sviluppo di veri e propri capolavori. In architettura, vengono introdotti l’arco a sesto acuto, l’arco rialzato (che si erge verticalmente sopra al capitello prima di incurvarsi) e l’arco moresco, il più rappresentativo di tale influenza: la parte superiore di quest’arco, talvolta a sesto acuto, descrive un semicerchio che si restringe alla base, formando un ferro di cavallo. Nel loro interno, tali strutture architettoniche presentano spesso delle decorazioni a stalattiti, chiamate muqamas, alveoli dipinti e scolpiti in aggetto che ornano inoltre cupole, pennacchi, capitelli e mensole. La decorazione del Duomo di Monreale (vicino a Palermo), quella della Cappella Palatina e quella dei palazzi della Zisa e della Cuba (anch’essi a Palermo) costituiscono splendide testimonianze dell’influenza islamica. La tipica tendenza araba a realizzare opere minuziosamente lavorate si ritrova in alcuni ornamenti scolpiti, quali la cornice di merloni dentellati di San Cataldo a Palermo, che costituisce un’elegante base per le tre cupole rosate che coronano l’edificio. I Musulmani apportano cambiamenti anche nei volumi, costruendo cupole a “berretto d’eunuco” come a San Giovanni degli Eremiti.

 

L’INFLUENZA ROMANICA

E’ caratterizzata da una pianta a croce latina e da facciate con torri massicce, che rivelano la tipica impronta dei Benedettini, più precisamente cluniacensi, dediti ad ampie e monumentali realizzazioni. Secondo gli studiosi, la facciata (due torri con pianta quadrata e identica struttura) del Duomo di Cefalù sarebbe ispirata alla chiesa di St-Etienne di Caen, mentre il suo interno presenta cornici ed archivolti (insieme degli intradossi di un arco) presumibilmente influenzati da quelli delle chiese di Caen. Tuttavia gli edifici religiosi non danno grande spazio alla scultura normanna, che si manifesta unicamente sotto forma di disegni geometrici sulle arcatelle e di altri motivi decorativi, quali i fasci di foglioline e gli ovuli situati sul pulvino del capitello. La tendenza alla stilizzazione si diffonde anche nelle figure animali e in quelle vegetali, rappresentate da semplici palmette o da piante sottili e piatte, rigide e senza fioriture (come il giunco). Tuttavia alcuni prestigiosi monumenti, tra cui il chiostro di Monreale, conservano splendidi insiemi di capitelli istoriati di tradizione tipicamente romanica.

 

LE CREAZIONI ARABO-NORMANNE

Benché numerose opere di questo periodo rivelino chiaramente un’influenza ben definita, alcune combinazioni di stili finiscono per diventare veri e propri modelli che caratterizzano l’arte durante il regno degli Altavilla.

 

MONUMENTI RELIGIOSI

Nella Cappella Palatina, la sovrapposizione della pianta centrata quadrata bizantina, adottata per il coro, e della pianta basilicale con copertura lignea di origine latina, scelta per la navata centrale (situata ad un livello inferiore). costituisce un nuovo modello in seguito riprodotto nel Duomo di Monreale.
La cattedrale di Palermo presenta inoltre la stessa decorazione esterna, ad arcatelle intrecciate e ornate da motivi geometrici in lava, dell’abside di Monreale costruita precedentemente. Vi si nota sia un legame con le bande lombarde che adornano frequentemente l’esterno delle chiese romaniche del resto d’Italia, che una riproduzione dei disegni geometrici orientali, dai toni contrastati (rosoni, scacchiere…).
Capolavoro indiscusso di questa scuola siculo-normanna, la Cappella Palatina unisce all’arte romanica, caratterizzata da una pianta allungata a tre navate e da strette finestre da cui la luce filtra soffusa, l’arte islamica, che si ritrova nella sontuosa decorazione del soffitto, nelle varie iscrizioni arabe e negli archi ogivali, e quella bizantina, cui deve la cupola su pennacchi ad angolo, i mosaici su sfondo d’oro, i rivestimenti murali a pannelli di marmo ed i pavimenti con intarsi di pietra.

 

MONUMENTI CIVILI

Oltre ad alcuni grandi castelli edificati in posizione strategica sia a Palermo (divenuto in seguito il Palazzo Reale), che a Castellammare e a Messina (andato completamente distrutto), i re normanni si fanno costruire vari palazzi di “delizie” pensati cioè per il riposo. Dopo la dominazione degli Altavilla, la Sicilia ne possedeva nove, di cui sussistono soprattutto i palazzi della Zisa e della Cuba. Queste splendide ville, testimonianze di un’architettura destinata agli svaghi, sono immerse in grandi parchi con distese d’acqua e provviste, nel loro interno, di due caratteristiche aree: l’iwan (sala a tre esedre) e il cortile all’aperto, circondato da portici e abbellito da una o più fontane. Questi due spazi, il primo originario della Persia abbaside e il secondo dell’Egitto fatimide, fanno la loro apparizione sull’isola nel XII sec. passando per il Maghreb, in quel tempo dominato dalla Sicilia e esteso fino, alle attuali coste tunisine. Tali aree sono presenti in tutti gli edifici costruiti dagli Altavilla, sia a Palermo che nel resto dell’isola. Anche la decorazione è ampiamente ispirata all’arte islamica: pavimenti marmorei o costituiti da mattoni disposti a spina di pesce, pareti ricoperte da mosaici (realizzazione piuttosto bizantina ma con motivi arabizzanti) e infine soffitti ed archi adorni di muqarnas scolpiti e dipinti.

 

GLI ARABI E PALERMO

 

PORTATORI DI CIVILTÀ E CULTURA, LASCIARONO UNA CITTÀ RICCA E PREZIOSA!

Palermo non si chiamerebbe cosi se la città non fosse appartenuta al mondo arabo, come lo fu per due secoli.
Il nome, infatti “Panormus” (dal greco, “tutto porto”) che la città portava sin da tempi antichi, dagli Arabi non fu inteso e perciò storpiato in “Balarmuh”.
I Musulmani conquistarono la Sicilia sottraendola al dominio del loro grande rivale di dell’epoca: l’impero di Bisanzio. Lontana dalla capitale Costantinopoli, l’isola mediterranea era una provincia sfruttata, come nei tempi romani, dal sistema latifondista e dalla monocoltura del grano.
Nel nono secolo la tendenza autonomista dell’ultimo governatore bizantino della Sicilia provocò e facilito l’invasione musulmana. Le navi musulmane partono da Suso (Tunisia) per approdare a Mazara nell’827

 

LA PALERMO ARABA

La conquista si protrae per molti anni prima che tutti i centri Siciliani fra cui la città capitale, Siracusa, e la roccaforte logistica nel centro dell’isola, Enna, passino in mano musulmana. La Sicilia viene quindi coinvolta dall’onda espansionistica dell’Islam che ad est ha già raggiunto l’Asia centrale e ad ovest la Spagna; politicamente farà parte di questo mondo fino a quando, nel 1061, vi giungono i cavalieri normanni alla ricerca di terre da conquistare.
I Musulmani, cioè “i fedeli in Dio”, non si contraddistinguono per la unicità della razza oppure per una comune storia e cultura e tutto ciò che concorre a formare una nazionalità; sono bensì uniti da un unico concetto religioso – politico, l’Islam per l’appunto.
Sono quindi vari ceppi (Arabi, Berberi, Persiani) uniti dall’Islam che si sovrappongono alla popolazione siciliana già composita (i discendenti delle popolazioni più antiche quali Sicani, Siculi, Morgeti, mescolati con le popolazioni sopraggiunte in seguito quali Fenici, Greci, Elimi, Romani, Bizantini). Questi vivono sotto la dominazione musulmana che vede il susseguirsi di varie dinastie, le quali governano il territorio siciliano con diverse forme giuridiche di assoggettamento che vanno dall’autonomia alla schiavitù.
Alla popolazione pre-musulmana cristianizzata, almeno in larga misura, è concesso di conservare la propria fede, purché non venga manifestata in pubblico e soprattutto non davanti agli occhi dei Musulmani; tale tolleranza è frutto di una tassa che i cristiani devono versare nelle casse musulmane.
Mentre la Sicilia appartiene al mondo islamico, i Musulmani economicamente la risollevano dalla sua stasi tardo antica. Essi introducono un nuovo sistema di agricoltura, sostituendo la monocoltura del grano con la varietà delle coltivazioni da loro importate: riso, agrumi, cotone, canna da zucchero, palma dattilifera, grano duro, sorgo, carrubo, pistacchio, gelso, ortaggi (melanzane, spinaci, meloni), ecc.
Tecniche innovative contribuiscono al successo delle nuove colture. Maestri nello sfruttamento delle risorse idriche, gli Arabi sostengono le coltivazioni con efficientissimi sistemi di irrigazione.
La Sicilia, reinserita nella rete marittima di scambi commerciali, diviene il perno delle attività nel Mediterraneo e assurge ad un ruolo dominante che si protrae per gran parte del Medioevo. Come nell’antichità, l’agricoltura rimane la principale attività dei Siciliani, certo con le nuove tecniche meglio supportata ed economicamente resa in maniera più redditizia grazie all’eccellente amministrazione ed a un nuovo tipo di fiscalismo.
Sostituendosi a Siracusa, la capitale siciliana bizantina, Palermo diventa la città principale del dominio musulmano nell’isola. A causa del carattere urbano della civiltà islamica Palermo precorre di vari secoli lo sviluppo urbanistico che in altre città europee avviene più tardi. La città islamica è il centro del potere ed ospita la corte dell’emiro e la casta militare e, oltre gli artigiani e i commercianti, vi svolgono un ruolo importante gli insegnanti, i religiosi, i letterati e i giuristi.
L’antica città, fondata nell’ VIII secolo a.C. dai Fenici, era, al tempo della conquista musulmana, chiusa entro un perimetro di mura e torri. Nella parte più elevata della città, ad occidente, in prossimità delle mura i Musulmani costruiscono, probabilmente sul posto di precedenti fortificazioni, un palazzo poi chiamato “dei Normanni”. Il palazzo diviene la prima sede governativa e tale rimane fino ai nostri giorni (attualmente è sede del Parlamento Regionale Siciliano). La città si arricchisce di nuove edificazioni e si espande al di là delle mura dell’antico nucleo.
Palermo raggiunge dimensioni davvero cospicue per un centro medievale. Si possono calcolare almeno 100.000 abitanti. Notevole è il numero delle istituzioni e delle infrastrutture: moschee (sia pubbliche che private), bagni (anch’essi pubblici e privati), il porto, l’arsenale, le mura e le porte, le fortificazioni, i mulini, i fondachi e i mercati. Verso il mare i Musulmani costruiscono, in alternativa al palazzo superiore, una seconda fortificazione allorquando, nel X secolo, per la travagliata successione dinastica, il governo fatimide si deve proteggere dalle ostilità della popolazione palermitana e da eventuali attacchi dal mare. La nuova cittadella, un vero centro militare e amministrativo, accoglieva il palazzo dell’emiro, il diwan (centro di amministrazione fiscale), l’arsenale, bagni e moschee.
Il carattere metropolitano che Palermo assume nel medioevo è esplicitato dall’organizzazione evoluta con cui viene gestita l’accresciuta dimensione della città nella quale, per esempio, i nuovi quartieri vengono affidati ai gruppi etnici, corporazioni o gruppi militari che vi abitano, L’amministrazione si occupava, oltre che delle istituzioni pubbliche (cui appartenevano anche gli edifici religiosi e politici), della ripartizione dei mestieri e dei commerci, del rifornimento idrico per i bagni (pubblici e privati), della pulizia delle strade.
L’immagine di Palermo nel periodo islamico splende nelle descrizioni fatte da viaggiatori che, in pellegrinaggio per la Mecca o in viaggio per motivi commerciali, in gran numero passavano per la capitale siciliana.
Oggi a Palermo non è rimasto alcun edificio islamico, un fatto molto sorprendente data l’importanza e la dimensione della città in quell’epoca. Chi abbia distrutto tutti i grandi o piccoli edifici e quando ciò sia avvenuto è difficile da chiarire. Certamente le prime distruzioni risalgono all’ XI secolo, allorché i Normanni conquistarono la Sicilia. Ma poiché durante la reggenza normanna i Musulmani non furono repressi, anzi largamente coinvolti negli affari della monarchia cristiana, dall’artigiano all’amministratore di uffici pubblici, è difficile pensare che i Normanni abbiano sistematicamente distrutto ogni traccia della cultura architettonica dei loro concittadini; e lo è ancora di più considerando il fatto che proprio dal periodo normanno ci sono pervenute numerose testimonianze dell’abilita artistica dei Musulmani
E’ in seguito, nel periodo in cui la Sicilia fece parte del regno cattolico della Spagna, regno che fondava il proprio prestigio nella vittoria sui Musulmani della penisola iberica, che è possibile ipotizzare un clima iconoclasta che imponeva la distruzione di tutto ciò che rappresenta l’Islam e la sua gloria, prime fra tutto le moschee. Se, quindi, vogliamo andare alla ricerca della Palermo araba, dobbiamo munirci di spirito di esploratore e raccogliere tante piccole tessere per poi unirle in un quadro complessivo.

 

I MERCATI E I QUARTIERI COMMERCIALI.

La produzione artigianale e il commercio nelle città islamiche sono organizzati secondo la merce in una o più strade-mercato: il suq. Dei suq di Palermo scrive già Ibn Hawqal, mercante che nell’anno 973 visita la città e che indica i prodotti venduti nei suoi mercati.
Tale strutturazione urbanistica è riscontrabile a Palermo ancora oggi, resa palpabile dal perdurare, nella città storica, di aree di mercato di antica tradizione.
Il carattere orientale si assapora senz’altro di più nella vivace Via Calderai, in cui, nonostante la ristrettezza, sono esposti fuori delle piccole botteghe i prodotti di latta, alluminio, ottone o rame, di fattura artigianale.
Dei famosi mercati alimentari stabili di Palermo alcuni si trovano nei luoghi indicati da Ibn Hawqal, alcuni conservano ancora il nome arabo (p.e. Ballarò da Baiharu, cioè il villaggio da cui provenivano i commercianti dello stesso mercato).

 

ARTIGIANATO DI ALTA QUALITÀ.

È famosa la capacità dei popoli musulmani di rendere prezioso il più semplice oggetto decorandolo con disegni floreali o geometrici, A questi ornamenti si associa la scrittura araba che si presta ai più eleganti esercizi calligrafici. Questi oggetti, dalla trave lignea intagliata al vasellame di ceramica, erano profusi all’interno di ogni edificio. Esempi dell’abilità artigianale musulmana si ammirano al Palazzo Abatellis in via Alloro, che ospita il Museo Regionale (che è degno di una visita non solo per gli oggetti medievali). Il museo conserva, inoltre, iscrizioni arabe in pietra, incise o intagliate. Nella Martorana, la chiesa di S. Maria dell’Ammiraglio, voluta dal sommo comandante della flotta normanna, si trova sul lato destro una porta lignea, riccamente intagliata. Questo lavoro raffinato, con la suddivisione dei battenti in riquadri rettangolari che recano eleganti intrecci, trova riscontro nella tradizione del legno intagliato sviluppatasi nello stesso periodo al Cairo.

 

FRAMMENTI ARCHITETTONICI.

luogo in cui sorge l’attuale cattedrale, fondata dai normanni nel XII secolo, è anche il punto dove i musulmani avevano il loro massimo edificio di culto. Nel portico gotico sul lato meridionale della cattedrale si trova una colonna che reca sul fusto un’iscrizione araba.
Fu una prassi diffusa, nel medioevo quella di riutilizzare componenti di monumenti costruiti da culture vinte.
Non sappiamo se la mente, che ha deciso la collocazione della colonna all’ingresso della cattedrale, fosse in grado di leggere il testo arabo preso dal Corano. Nella lode di Dio espressa da queste righe arabe ci si possono riconoscere, comunque, tutti i fedeli: “Egli fa coprir dalla notte il giorno, che la incalza veloce; e il Sole e la Luna e le Stelle regolate dal Suo comando. O che debbesi a Lui la creazione e non spetta a Lui l’impero? Sia lodato Iddio ‘Signore dei mondi”.
Un altro esempio del genere si trova nella chiesa Martorana, dove due colonne con iscrizione araba furono inserite nell’ampliamento barocco.
In provincia di Palermo, vicino Cefalà Diana, esiste un bagno medievale, sito su una sorgente termale.
Il Bagno di Cefalà-Diana, di incerta datazione, è l’unico esempio oggi esistente in Sicilia della particolare attenzione che la cultura musulmana dedicava all’elemento acqua. Nella tradizione islamica l’istituzione del bagno, presa in eredità da quella romana, trova la più larga diffusione e, oltre che a servire all’igiene, costituisce un forte elemento di socializzazione. Il Bagno di Cefalà è costituito da un vano rettangolare coperto da una volta a botte ogivale. L’ultimo quarto del vano è separato dal resto da un diaframma murario poggiante su tre archi impostati sui muri d’ambito e su due colonnine al centro. Nel pavimento sono ricavate le vasche di diversa profondità e nello spessore dei muri scavate le nicchie per accogliere utensili e cosmetici. L’edificio è attraversato da una fascia orizzontale che reca un’iscrizione araba, purtroppo non più decifrabile. I Normanni, che nell’XI secolo subentrano ai Musulmani nel governo della Sicilia, impegnò sapientemente le conoscenze e le maestrie della cultura islamica per i propri interessi.
Per questo nei monumenti del periodo normanno troviamo tanti segni della cultura islamica.
Unico al mondo del suo genere è il soffitto, della Cappella Palatina, cioè la cappella, all’interno del palazzo normanno, riservata al re e alla corte. Il soffitto copre il vano della cappella, rivestito di splendidi mosaici bizantini, come un cielo stellato (e cosi lo vedeva anche il vescovo all’atto della consacrazione).
In esso 24 piccole cupole a forma di stelle sono disposte in due file, mentre sulle pareti scendono le muqarnas, elementi alveolari, tipici dell’architettura islamica. Nel soffitto, fatto di legno di cedro e poi dipinto, a stento si percepisce l’incredibile ricchezza della decorazione: figure imperiali, musicisti, danzatrici, scene di lotta e di caccia, animali reali e mitici, il gioco degli scacchi e tante altre scene che rappresentano gli aspetti della vita, in forma ideale e simbolica, di un principe musulmano di quei tempi. Il soffitto dipinto dimostra ancora una volta che l’arte islamica conosce, nonostante il divieto coranico, la rappresentazione di figure. Ci può sorprendere il fatto di trovare un tema apparentemente cosi laico in un luogo di culto cristiano, ma ci dice molto sulla personalità di re Ruggero, committente dell’opera e, soprattutto, della sua stima verso i sudditi musulmani.

ARTE NORMANNA

 

I Normanni, rudi guerrieri ed abili politici non ebbero una arte propria, ma conquistato un regno subirono il fascino dell’arte e la protessero. Nell’Italia Meridionale e in Sicilia profusero tesori per la ricostruzione di grandiose cattedrali e di sontuosi palazzi rinnovando il fasto orientale.
I monumenti sono classificati di Arte Normanna, non si devono intendere come monumenti sorti sotto il loro dominio. Alcuni avrebbero voluto sostituire quella denominazione con l’altra di arte Siculo-Normanna, per determinare meglio il luogo di sviluppo; altri con quella di arte Arabo-Bizantina, per indicare gli elementi costitutivi.
Imitando gli Arabi, i normanni soggiogati dal fasto orientale, si mostrarono ancora più arrendevoli verso i vinti, sebbene questi fossero seguaci del Corano. Alla loro corte, medici, astronomi, matematici, musicisti, poeti e scrittori arabi, vivevano indisturbati, tanto che nel 1185, il viaggiatore musulmano Ibn Jobair aveva trovato in fiore di Sicilia la civiltà araba, tanto da sembrargli la capitale del Regno: Palermo, una città del tutto araba nei costumi.
Anche negli atti ufficiali, oltre le lingue: greca, latina e francese fu permessa quella araba. Questo eclettismo ebbe un riflesso anche nei prodotti dell’arte. Spesso le maestranze siciliane educate all’arte bizantina, lavorarono di buon accordo alle maestranze arabe, armonizzando i vari elementi in una fusione perfetta, meravigliosa; ora con predominio evidente delle caratteristiche arabe, ora con spiccato senso decorativo di quelle bizantine.
In alcuni monumenti affiorarono timidamente elementi romanici, ciò che fa supporre anche la presenza di artisti nazionali dell’Italia meridionale, dove l’arte romanica si era già diffusa da qualche tempo.
A Palermo, sono di carattere arabo: La Reggi (in gran parte distrutta), la Zisa, la Cuba, il Palazzo della Favara, S. Maria dell’Ammiraglio, S. Cataldo, S. Giovanni degli Eremiti.
Sono di carattere bizantino: S. Giovanni dei Lebbrosi, la Cappella Palatina.
Caratteristiche romaniche si trovano nel Duomo di Cefalù e in quella di Monreale.
Spesso processi murari musulmani si attuarono con schemi bizantini. Così archi acuti, cupole emisferiche su trombe a nicchie rientranti, volte con peducci pensili, coperture a stalagmiti vennero eseguiti costruzioni a pianta quadrangolare, in volta con sostegni e cupola centrale.
Si seguirono piante di forma allungata con tre absidi, a tipo basilicale; portici fiancheggiati da torri campanarie, decorazioni esterne ed archetti intrecciati con policromie ottenute con pietre di un colorito gialliccio e pietre laviche nere.
Nella decorazione musiva si ebbero ornamenti geometrici di schietta natura araba e figure di Santi con perfetta ieratica stilizzazione bizantina; pavimenti e zoccolature ora ricordanti motivi arabi, ora pretti motivi cosmateschi; le leggende in greco si alternano con quelle in latino.
Nel soffitto della Cappella Palatina, nelle colonne della Chiesa di S. Maria dell’Ammiraglio e nei coronamenti esteriori di Chiese e di palazzi ricorrono invece iscrizioni a lettere cufiche.
Grandi costruttori furono i re normanni. Ruggero II fece costruire la chiesa di S. Giovanni dei Lebbrosi (1061), S. Giovanni degli Eremiti (1132).
Lo stesso Ruggero II fece completare il Duomo di Messina cominciato da Ruggero I nel 1098, e il castello di Favara.
Guglielmo I il Malo iniziò il palazzo della Zisa poi completato da Guglielmo II, il Buono, che costruì quello della Cuba. Allo stesso Guglielmo II si deve la costruzione del Duomo di Monreale (1170-1182) e del chiostro del vicino convento.
Arcivescovi e grandi dignitari della Corte rivaleggiarono con i loro re.
L’Ammiraglio di Ruggero II: Giorgio d’Antiochia fece sorgere una chiesa per il rito greco (1143), detta poi della Martorana; Matteo d’Aiello, cancelliere di Guglielmo II fece costruire per i Cistercensi, la chiesa ed il convento della Real Magione (1161); Maione da Bari poi ministro di Guglielmo II, edificò, accanto alla Martorana, la Chiesetta di S. Cataldo (1161); l’Arcivescovo Gualtiero Offamilio, prima precettore e poi cancelliere di Guglielmo II elevò la Chiesa di S. Spirito (1173), detta la Chiesa dei Vespri e dopo iniziò la fabbrica del Duomo di Palermo (1184).
L’eclettismo che guidava la politica dei re normanni ispirò l’eclettismo artistico dei monumenti sorti per loro volontà, è questo che l’arte del XII in Sicilia ha un fascino tutto particolare, superiore forse a quello di Ravenna e di Venezia.

 

PALERMO

 

Il sito dell’antica città

Palermo nacque sui margini marini di una vasta conca resa fertile dalla clemenza del clima e dall’abbondanza di acque. I primi coloni vi trovarono facili approdi alle foci dei numerosi fiumi. Due di questi erano particolarmente importanti: l’uno, scendendo da ovest per i Denisinni, si allargava nella depressione del Papireto, del Capo, di S. Onofrio e della Conceria e sfociava nel mare congiungendo le sue acque all’altro che, scendendo dalla fossa della Garofala a sudovest, lambiva alla sua destra l’anfrattuoso terreno dell’Albergaria, inondava i Lattarini e finiva nel mare poco oltre i Quattro Canti di via Roma. Il primo, detto Papireto, era alimentato da parecchie sorgenti ed aveva regime quasi stabile e perenne vegetazione di papiri da cui il suo nome; l’altro, detto dagli Arabi «fiume del Maltempo» e più recentemente Kemonia, era a regime torrentizio. Entrambi erano poco profondi ed insensibilmente, per tutto il medio evo, andarono colmandosi. Nel sec. XVI le loro foci erano già interrate e l’antico approdo s’era ristretto alla Cala attuale.
L’antica situazione geografica generò probabilmente il nome di Palermo, derivato dal greco Panormos o anche Pànhormos che deriva dall’unione di due parole greche, Pan (tutto) ed Hòrmos (porto), questo particolare nome deriva dalla conformazione stessa della città, che si trovava alla convergenza di due fiumi i quali, circondandola creavano un enorme (per l’epoca) approdo naturale. Oltre a questo la città, come tutte le città fenicie, basava la sua economia sul commercio marittimo. La prima fonte a dare questo nome alla città è Tucidide che descrivendo la Sicilia all’arrivo dei Greci parla di Palermo, Mozia e Solunto come le più importanti colonie Puniche presenti sull’isola.
Il nome Panormos è comunque molto utilizzato dai greci per indicare città rinomate per il proprio porto e lo troviamo in altri punti del Mediterraneo.
Questo nome andò diffondendosi più di quello fenicio, grazie alla maggiore influenza e presenza greca sull’isola, ma, nonostante ciò, i Greci non riusciranno a controllare mai la città che resterà una città Punica ed autonoma fino al periodo romano.

 

Le colonizzazioni preromane (sec. VIII – 254 a. C.)

Tra il Kemonia ed il Papireto sorgeva, poco elevata, una penisola lunga un chilometro e larga la metà. L’approdo alle sue coste era facile ed essa era agevolmente fortificabile. I Sicani nel terzo millennio, i Cretesi nella seconda metà del secondo millennio, gli Elimi attorno al sec. XII a. C. e quindi i Greci nell’VIII secolo si stabilirono, più o meno precariamente, su quella penisoletta. Tra l’VIII ed il VII secolo avvenne la massiccia colonizzazione dei Fenici di Cartagine.
Nel secolo VI una forte cinta di mura fu gettata attorno alla zona dell’attuale palazzo reale, di piazza Vittoria, del quartiere militare di S. Giacomo e del palazzo arcivescovile (Paleopoli); due secoli dopo fu fortificato robustamente il restante territorio della penisoletta, dove si formò una nuova città (Neapoli).
Tra la Paleopoli e la Neapoli rimase il vecchio muro divisorio.
Alla fine del V secolo il siracusano Dionisio I, in lotta con Cartagine, tentò l’assalto alla città ma questa resistette. Però nel 277 essa, inspiegabilmente debole, cadde nelle mani di Pirro che la tenne un anno.

 

Panhormus romana (254 a.C. – 491 d.C.)

Scoppiato il conflitto egemonico tra Roma e Cartagine (264), si combatté in Sicilia per terra e per mare. Panormo, porto di notevole valore strategico, fu uno dei cardini della contesa.
Nel 258 fu assediata vanamente dal console romano A. Attilio. Quattro anni dopo fu però costretta ad arrendersi ai rinnovati attacchi dei Romani che poi, nel 251, frustrarono un poderoso attacco del cartaginese Asdrubale.

Sotto i nuovi conquistatori, la città mantenne una vita attivissima, fu libera ed immune, ma non mutò sostanzialmente il suo impianto urbanistico. Le case di piazza Vittoria attestano la splendidezza del patriziato romano dominatore.
Durante la dominazione romana si mantenne il nome greco anche se avvenne una piccola modifica di pronuncia, infatti il nome assimila una forma più simile al latino cambiando la declinazione in Panormus, in questa prima fase però il nome mantiene lo stretto legame con il nome greco.
la città antica.

 

Palermo bizantina (535-831 d. C.)

A metà del V secolo la Sicilia è corsa dai Vandali di Genserico; anche Palermo è messa a sacco dopo disperata resistenza. Gli Ostrogoti la occupano nel 491 e la fortificano saldamente. Nel 535 i Bizantini di Belisario spingono le loro navi sotto le mura della città e sopraffanno i Goti. Segue un periodo di relativa sicurezza. La Chiesa romana allarga in Sicilia la sua influenza e rafforza il suo patrimonio. Panormo è posta da Gregorio Magno a capo dell’amministrazione dei beni della Sicilia occidentale. Nella città si fondano tre conventi ed un ospizio. Palermitano è il papa Sergio, vissuto verso il 672.

 

Palermo musulmana (831-1072)

L’espansione musulmana, favorita dalla discordia dei dirigenti bizantini, investe la Sicilia.
Nell’831 le armate dell’Islam attaccano Palermo che si difende disperatamente ma è costretta a cedere per fame e per peste.
Ulteriore passaggio prima della forma moderna avviene con la dominazione araba, quando il nome originale diviene Balarm come ci viene riportato dagli storici arabi Ibn Hawq e Edrisi e viene pronunciato Bal(e)rem, anche se alcuni storici arabi contemporanei alla dominazione chiamavano la città semplicemente Madìnah che in arabo identifica la città per antonomasia, questo sottolinea l’importanza che aveva raggiunto la stessa città sotto la dominazione araba.
Con i nuovi conquistatori, la città assume, in Sicilia e nel Mediterraneo, un ruolo eminente; accoglie stranieri di ogni nazione, moltiplica i suoi abitanti, sviluppa la sua industria ed i suoi commerci. Vi risiede l’emiro la cui dipendenza dal califfo d’Africa è solamente nominale; egli ha poteri civili, militari e giudiziari. Amministra la città un consiglio municipale formato da musulmani d’antica e recente nobiltà mercantile.
I vinti non sono oppressi, anzi l’emiro richiede il loro appoggio nell’incessante lotta con la nobiltà ricca e invadente. Quando l’equilibrio si spezzerà in favore di quest’ultima, sarà lo sfaldamento dello stato musulmano e prevarranno i conquistatori normanni.
Palermo ha in età islamica impetuoso sviluppo. La città antica è insufficiente a contenere l’accresciuto numero degli abitanti che ascendono a 300 mila. Al di là dei due corsi d’acqua e dell’insenatura del porto, in meno di un secolo, sorgono case, palazzi, edifici pubblici e diecine di moschee.
Alla metà del X secolo i quartieri di Palermo sono i seguenti: 1) Il Cassaro (al- Qasr) cioè il quartiere del castello: è la città vecchia con nove porte, per corsa in lunghezza dalla omonima via lastricata, rigurgitante di mercanzie. Vi abitano i nobili ed i ricchi mercanti e vi hanno sede l’amministrazione citta dina e le pubbliche scuole. 2) La Kalsa (al-Halisah) cioè l’eletta, quartiere fortificato, sede dell’emiro, delle sue truppe, degli uffici governativi, dell’arsenale e delle prigioni. Sorge ex novo nel 937-38 per tenere in rispetto
la prepotente nobiltà del Cassaro. 3) I quartieri sud orientali, compresi all’incirca nel perimetro di via Porta di Castro, via Schioppettieri, il basso Cassaro, via Cinturinai, corso Garibaldi, corso Tukory e la Porta di Castro. Non sono fortificati ed hanno carattere mercantile.
4) Il quartiere degli Schiavoni, al di là del Papireto, che si estende fino al mare. Vi si affollano gli Schiavoni, famosi pirati assoldati dagli Arabi per le scorrerie nella penisola italiana. Vi tengono altresì i loro fondachi i mercanti genovesi, amalfitani, pisani, veneziani, ecc.
Palermo s’è formata e rimarrà sostanzialmente immutata per quasi un millennio.

 

Palermo normanna (1072-1195) (VIDEO)

A principio dell’XI secolo il dominio musulmano in Sicilia vacilla. Bizantini, Pisani e Normanni vi fanno frequenti scorrerie e saccheggi.
Nel 1061 i Normanni vi sbarcano in forze e nel 1063 danno man forte ai Pisani, che forzano il porto di Palermo rompendone la catena che lo chiude e fanno ingente bottino che destinano alla fabbrica del loro Duomo. Nel 1072 Ruggero e Roberto il Guiscardo prendono Palermo dopo cinque mesi d’assedio. Nel 1091 tutta la Sicilia è nelle mani dei prìncipi normanni che se la spartiscono e vi instaurano il regime feudale, primo germe della sua decadenza. Palermo è ancora splendida sebbene piccone dei nuovi dominatori abbia demolito le numerose moschee; vi fioriscono il commercio, le industrie e la cultura. Il conte Ruggero, morendo nel 1101, lascia al figlio Ruggero uno stato ben governato e questi può assumere nel 1130 la corona regia.
Ulteriore passaggio avviene con la dominazione normanna in questo periodo il legame con l’arabo è molto forte, infatti la lingua parlata rimane la stessa e di conseguenza la forma araba diviene dapprima Balermus, echeggiando la precedente pronuncia latina su una base araba, e successivamente Balarmuh sempre con la pronuncia Bal(e)rmuh.
Sulla Paleopoli si fortifica il palazzo che era servito agli emiri prima di tra sferirsi alla Kalsa; in esso due torri munitissime fanno fede della potenza dei monarchi normanni.
Presso la corte è un opificio di stoffe seriche ed uno stuolo d’artisti edifica l’incantevole Cappella Palatina. Un estesissimo parco regio abbraccia la città: in esso sono palazzi e luoghi di diletto, fra i quali la Zisa, la Cuba e la Favara.
La Chiesa riassume gli antichi privilegi e molti altri ne conquista infeudandosi.
Sorgono innumerevoli le chiese e i conventi; si edificano i duomi di Monreale e di Palermo.
Le ricchezze di tanti secoli d’intensa attività impinguano i nuovi dominatori che coltivano le arti. I musulmani, che sono ancora l’anima di ogni attività cittadina, sfollano il Cassaro ed occupano il vecchio quartiere degli Schiavoni chiamato ora Sera-caldi dalla maggiore via che l’attraversa. Nella depressione attorno alla Cala sono ancora i mercanti delle città marinare italiane: ivi è la Amalfitania. Più a nord viene rafforzato il castello a mare, già eretto in età islamica a difesa del porto. I quartieri di sud-est si amalgamano costituendo quello dell’Albergheria o Albergaria, contiguo alla Kalsa; gente di parecchie lingue, variamente dedita al commercio, popola ancora la città.
Finché è re il forte Ruggero, la monarchia è salda; alla sua morte (1154) la nobiltà feudale ricca e potente ne insidia l’autorità. Maione di Bari, ministro di Guglielmo I, s’adopera a rafforzare il vacillante prestigio del suo re, ma è assassinato da Matteo Bonello, signore di Caccamo. Guglielmo II (1166-1189) accoglie quell’eredità compromessa ed avviata a rovina.

 

IL PERCORSO ARABO NORMANNO DICHIARATO

DALL’UNESCO ‘PATRIMONIO MONDIALE

DELL’UMANITÀ

 

Palermo segna una data importante nel calendario infatti il 3 luglio del 2015 a Bonn il Comitato del Patrimonio Mondiale dell’Unesco ha dichiarato l’itinerario Arabo Normanno (VIDEO) “Patrimonio Mondiale dell’Umanità” inserendolo quindi di diritto nella World Heritage List.
Lo stile Arabo-Normanno è unico nel suo genere ed esclusivo di Palermo, Cefalù e Monreale e si caratterizza per l’unione di due mondi opposti: quello arabo – musulmano e quello normanno – cattolico.
I due secoli e mezzo di dominazione araba (dall’827 alla fine del XI secolo) resero la città una tra le più ricche ed importanti dell’epoca: splendidi palazzi, moschee, minareti, giardini e fontane vengono eretti.
Ai giorni nostri non sussiste purtroppo alcun monumento di rilievo appartenente all’epoca musulmana. Questi splendidi palazzi arabi spariscono, infatti, con l’arrivo dei Normanni, che se ne appropriano per riallestirli e modificarli, rendendo impossibile distinguerne l’antica funzione.
I Normanni decidono di emulare il grande sfarzo degli arabi e riconoscono alle maestranze musulmane una notevole bravura: da questo connubio nasce, appunto, lo stile arabo – normanno.
Gli elementi tipici di questo stile per le chiese e le costruzioni civili sono: pianta basilicale a croce latina o greca, torri e portale sulla facciata, coro spesso sormontato da cupole, abbelliti da mosaici bizantini realizzati da artisti greci e da ornamenti arabi (archi a ferro di cavallo, decorazione fatta di arabeschi1 etc.); i palazzi sono immersi in grandi parchi con distese d’acqua e provviste, nel loro interno, di due caratteristiche aree: l’iwan (sala a tre esedre) e il cortile all’aperto, circondato da portici e abbellito da una o più fontane, decorati da pavimenti marmorei o costituiti da mattoni disposti a spina di pesce, pareti ricoperte da mosaici con motivi arabeggianti e infine soffitti ed archi adorni di muqarnas (decorazione ad alveoli o a stalattiti) scolpiti e dipinti.
1) L’arabesco è uno stile ornamentale composto da elementi calligrafici e/o motivi geometrici. Il termine deriva dal fatto che lo stile era adoperato, e lo è ancor oggi, per decorare le superfici perimetrali, sia esterne che interne, soprattutto di moschee.
I monumenti in stile Arabo Normanno che fanno, o faranno in breve, parte dell’itinerario Patrimonio dell’Unesco sono:

A Palermo:

  1. Il Palazzo Reale o dei Normanni
  2. La Cappella Palatina
  3. Porta Nuova
  4. La Cattedrale
  5. Il Castello della Zisa o Palazzo della Zisa
  6. La Cuba
  7. La Cuba Soprana
  8. Il Castello dell’Uscibene o Palazzo dell’Uscibene
  9. La Chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio o della Martorana
  10. La Chiesa di San Cataldo
  11. La Chiesa di San Giovanni degli Eremiti
  12. La Chiesa della SS. Trinità o “Magione”
  13. La Chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi
  14. Il Ponte dell’Ammiraglio
  15. Il Castello di Maredolce
  16. La Chiesa di Santo Spirito o “Chiesa dei Vespri”

A Monreale:

A Cefalù:

 

Monumenti in stile Arabo Normanno

 

Palazzo Reale o dei Normanni

 

Su un’altura dell’antica Palermo (la paleanopoli di Polibio) tra il torrente Kemonia e il Papireto, verso la fine del secolo IX, sorse per opera degli arabi di Kasr, castello degli Emiri, donde poi venne la denominazione di Cassero: via porta al Castello. Esso era circondato da mura, secondo l’uso musulmano. Due torri si elevavano alte e massicce, abitazioni per ancelle dell’Harem, le quali lavoravano tappeti e panni preziosi. Queste officine costituivano il Tiraz.
I normanni nel 1072 impadronirsi della città ampliarono l’edificio e servendosi di artisti arabi e bizantini lo decorarono con sfarzo. Sotto di essi il sontuoso castello raggiunse il più alto splendore, tanto da giustificare l’iscrizione araba che si conserva nel R. Museo: “T’appresa e bacia il canto di quest’edificio e dopo averlo abbracciato contepla le cose che racchiude”.
Sotto gli svevi divenne un centro quasi europeo di civiltà e di cultura. Nelle epoche susseguenti subì deformazione a tal punto che si credette che ad eccezione della Cappella, della torre Pisana, e della stanza detta di Ruggero, ancora apparata di mosaici, nulla fosse più rimasto.
Recenti indagini hanno messo in luce le Prigioni politiche nell’angolo sud, la Stanza del tesoro nella torre Pisana e la Sala degli armigeri.

 

 

Gli Angioini prima e gli Aragonesi poi privilegiarono altre sedi a scapito del castello. Il palazzo tornò a occupare un ruolo importante nella seconda metà del XVI secolo quando i viceré spagnoli lo elessero a propria residenza, procedendo di pari passo a importanti ristrutturazioni finalizzate sia alle esigenze di rappresentanza che a quelle militari di tipo difensivo, con la creazione di un sistema di bastioni.
I Borboni realizzarono ulteriori sale di rappresentanza (la Sala Rossa, la Sala Gialla e la Sala Verde) e fecero ristrutturare la Sala d’Ercole, così denominata per gli affreschi dedicati alle imprese dell’eroe mitologico.
A partire dal 1947, il Palazzo dei Normanni (VIDEO) divenne la sede dell’Assemblea Regionale Siciliana. L’ala ovest (con la Porta Nuova) è stata assegnata all’Esercito Italiano, ed è sede del distretto militare.
Durante gli anni sessanta fu sottoposto a profondi lavori di restauro curati da Rosario La Duca.
Il Palazzo è anche la sede dell’Osservatorio astronomico di Palermo “Giuseppe S. Vaiana”.

L’ingresso principale si trova in Piazza Parlamento, quello carraio e quello turistico su piazza Indipendenza, di fronte Palazzo d’Orleans, sede della presidenza della Regione siciliana.

 

 

Oltre alla Cappella Palatina, le parti di costruzione attribuita ai normanni sono la Torre Pisana, sede della stanza del Tesoro, e la Torre della Gioaria, che ospita al piano inferiore la sala degli Armigeri e al piano superiore, il cosiddetto “Piano parlamentare”, la sala dei Venti e la sala di re Ruggero decorata con mosaici di scuola bizantina raffiguranti scene di caccia.
Al secondo piano del palazzo si trovano inoltre la Sala d’Ercole, attuale luogo di riunione dell’Assemblea regionale siciliana, la Sala Gialla e la Sala dei Viceré.
Le sale sono collegate alla cosiddetta cripta da due scale laterali. La cripta è in realtà una chiesa di ispirazione bizantina costituita da un vano a pianta quadrata sottostante al presbiterio, suddiviso da due colonne di pietra e caratterizzato da un’ampia abside centrale e da due absidi laterali di dimensioni più contenute.

 

 

La stanza di re Ruggero, che si trova all’interno della Torre Pisana, è anch’essa caratterizzata da una decorazione a mosaico risalente al XII secolo.
Le decorazioni dei mosaici rappresentano scene di carattere aulico e venatorio con grande dispiacere dedizione nell’esecuzione degli animali tra cui, oltre i mitologici centauri appaiono – leopardi, pavoni, cervi, cigni – sullo sfondo di una vegetazione di alberi e palme. Le rappresentazioni dai canoni sontuosi ma con accenti di rigidità, delineano la chiarissima matrice greco-bizantina dell’opera. La volta della sala risale invece al periodo successivo di Federico II, come testimoniato dalla rappresentazione dell’aquila sveva.

 

 

 

Cappella Palatina

 

Nell’antico palazzo degli Emiri, restaurato ed ampliato dai re normanni venne edificata da Ruggero II la Cappella Palatina (VIDEO)dedicata a S. Pietro. Completata nelle linee generali architetturali avanti il 1143, come mostra l’iscrizione greca alla basa della cupola.
E’ uno dei più singolari monumenti del periodo normanno. Si apre sulla loggia del primo piano del palazzo reale; L’accesso attuale alla cappella avviene attraverso un portico su archi a sesto leggermente acuto, con capitelli di reimpiego con sette colonne di granito egiziano né dà il primo annunzio, costruito nel 1506. I mosaici sono moderni.

 

Dal portico si accede ad un vestibolo che in origine metteva in collegamento la cappella con gli appartamenti reali.

Dal portico si accede ad un vestibolo che in origine metteva in collegamento la cappella con gli appartamenti reali.

 

L’interno, tutto raccolto nella mistica penombra tanto suggestiva, presenta i contrasti più imprevisti: elementi arabi son misti a quelli bizantini sia nell’architettura, che nella decorazione. La cappella ha una struttura architettonica che affianca la struttura basilicale della navata, di tipo occidentale, ad un presbiterio sopraelevato dominato da una cupola che ne attribuisce una struttura centrale tipica dei santuari greci.
Due file di quattro colonne dividono il braccio longitudinale in tre navate. Molto belli sono gli archi, molto sopraelevati e dotati di un sesto acuto che ne testimonia la derivazione da tipologie arabe.

 

 

La pianta a forma allungata, divisa in tre navate con tre absidi ci dà una basilichetta occidentale; la cupola emisferica raccordata con le caratteristiche trombe a volticine digradanti ci dà invece una costruzione d’oriente.

 

 

Il presbiterio è centrato su una campata quadrata coperta dalla cupola e delimitata da ampi archi ogivali che ricadono su colonne. Una stretta campata rettangolare precede l’abside centrale: entrambi gli archi ricadono su colonne in porfido che alleggeriscono la struttura. Mosaici ricoprono tutta la superficie: anche se solo una parte sono originali (1143) l’insieme mantiene una grande unitarietà.

 

 

Gli archi leggermente acuti con lunghi piedritti ci richiamano l’architettura araba. I mosaici finemente stilizzati nella composizione apparata di caldo oro, fanno rivivere il fasto di Bisanzio.
Al vertice della cupola si trova il Pantocratore circondato da angeli ed arcangeli.
Nel tamburo sono raffigurati profeti e, nelle nicchie di raccordo, gli Evangelisti. Sull’arco trionfale è raffigurata l’Annunciazione mentre sull’arco opposto, non visibile dalla navata, si trova la Presentazione.
Il soffitto meraviglioso della navata centrale, tutto intagliato nel legno con combinazione stellate ad alveoli e stalagmiti, tanto cari all’architettura musulmana.
Nel catino dell’abside si trova il Cristo Pantocratore; al di sotto il mosaico raffigurante la Madonna tra santi risale al XVIII secolo. Ai lati si trovano due arcangeli e, sotto, i santi Gregorio e Silvestro.

 

 

Nei bracci del transetto si aprono absidiole poco profonde. Nel catino di quella destra si trova il busto di S. Paolo. Al di sopra la Natività. Nella parete del transetto sono raffigurate alcune scene della vita di Cristo. Nella cupola a botte è posta una rappresentazione della Pentecoste.

 

 

Nel catino dell’absidiola sinistra si trova il busto di S. Andrea (XVI secolo). Al di sopra la Vergine Odigitria col Battista. Nella parete di fronte sono raffigurati santi vescovi della Chiesa greca. Nella cupola è rappresentata l’Ascensione.

 

 

I mosaici della navata sono più tardi di quelli del presbiterio risalendo agli anni tra il 1160 e la fine del secolo.

 

 

Quelli della navata centrale sono distinti in due ordini e sono dedicati a scene dell’Antico Testamento, dalla Creazione alla lotta di Giacobbe con l’Angelo

 

 

Le navate laterali sono decorate con un alto zoccolo in marmo con inserti in porfido e decorazioni ad intarsio. Al di sopra, la fascia a mosaico è dedicata a scene della vita dei santi Pietro e Paolo.

 

 

La controfacciata è occupata dal soglio reale, sollevato da cinque gradini rispetto al pavimento della navata. Nella parte superiore è raffigurato il Cristo in trono tra i santi Pietro e Paolo, mosaici restaurati durante il regno di Ludovico d’Aragona nella metà del XIV secolo.

 

 

La parte inferiore è occupata da una decorazione marmorea intarsiata con al centro lo stemma aragonese; Ai lati della cuspide due leoni all’interno di cerchi sono avvolti da una decorazione a motivi floreali con due uccelli.

 

 

Il soffitto della navata centrale è una meraviglia dell’artigianato magrebino del Medioevo. Una fascia centrale a cassettoni scolpiti in forma di stelle è affiancata da una struttura ad alveoli degradanti. La struttura lignea è ricoperta da una tela sulla quale sono dipinti innumerevoli soggetti che rimandano alla vita delle corti arabe, il tutto circondato da iscrizioni in caratteri cufici. Pur restaurato nel XV secolo il soffitto si mantiene sostanzialmente integro.

 

 

Il soffitto delle navate laterali è più semplice essendo costituito da assi trasversali che delimitano delle conche nelle quali sono ripresi i soggetti visti nella navata centrale.

 

 

Di grande importanza è l’ambone costituito da due casse parallelepipede affiancate sorrette da colonne alcune delle quali ricoperte da motivi a zig-zag. Una delle fronti delle casse è in porfido mentre l’altra è intarsiata. Rappresentano l’aquila di S. Giovanni ed il leone di S. Marco.

 

 

A lato dell’ambone si trova il candelabro pasquale, ricoperto da cinque ordini di rilievi. La base è decorata con leoni nell’atto di azzannare uomini ed animali.

 

 

Seguono una fascia decorata a tralci abitati ed una in cui appare il Cristo in una mandorla sorretta da angeli con al suo fianco la figura inchinata di Ruggero II.

 

 

La quarta fascia è decorata con aquile e tralci fioriti; alla sommità il disco del candelabro è sorretto da tre figure seminude raffigurate naturalisticamente.

 

 

Il pavimento a meandri di mosaico, uniti a tondi di porfido e di serpentino, le palmette dorate che coronano l’alta zoccolatura delle pareti rilevano la fantasia degli arabi decoratori.

Il candelabro, fiore marmoreo, da presso l’alto pulpito della navata destra, ergentesi su colonne striate d’origine musulmana, canta le glorie di artisti romanici, ispiranti ad un candelabro classico con foglie d’acanto e a figure d’animali. I vari elementi di origine diversa e contrastante, attestati anche dalle iscrizioni latine, greche e cufiche, si fondono in un insieme meravigliosamente armonico e conquistano l’animo. Colori vivaci e toni caldi d’oro, temperati da quella vaga penombra, ravviata dai riflessi dei fondi, girano, s’intrecciano in strisce a meandri, sotto gli archi intorno a busti dei santi, alle scene bibliche, alle storie evangeliche, sulle ali degli angeli, sui mantelli dei profeti, sui palli degli apostoli e più vivi si accendono dove più copiosa, dalla cupola, piove luce.

 

 

 

Porta Nuova

 

Adiacente al Palazzo dei Normanni, è stata per secoli il più importante accesso a Palermo via terra. Da essa partono il Corso Vittorio Emanuele, o Cassaro, la principale arteria cittadina, e, all’esterno, la strada verso Monreale.
La Porta Nuova, originariamente voluta nel 1583 dal viceré Marcantonio Colonna per ricordare la vittoria di Carlo V sulle armate turche, subì la totale distruzione nel 1667, quando esplose un deposito di polvere da sparo. Nel 1669 l’architetto Gaspare Guercio la ricostruì integralmente e pensò di porre a coronamento dell’edificio una copertura piramidale rivestita da piastrelle policrome maiolicate con l’immagine di un’aquila ad ali spiegate.
Il prospetto rivolto verso la città ricalca gli schemi classici degli antichi archi di trionfo, mentre quello esterno presenta un’architettura originale e bizzarra dominata dalla presenza spettacolare di quattro telamoni, raffiguranti i Mori sconfitti da Carlo V.

 

Osservatorio astronomico di Palermo "Giuseppe S. Vaiana"

Osservatorio astronomico di Palermo “Giuseppe S. Vaiana”

 

 

Cattedrale di Palermo

 

 

Nello stesso posto dove nel 603 S. Gregorio Magno aveva fatto innalzare una basilica, trasformata in moschea dagli arabi, Gualtiero Offamilio fece costruire il “massimo tempio in Sicilia” (1170-1184). Depurtato da molteplici restauri e rifacimenti, nell’esterno, esso presenta ancora molto interesse. Pochi avanzi però rimangono della costruzione primitiva: la parte inferiore delle torri accanto alle absidi di queste, le fiancate della nave centrale con le finestre finemente decorate da pietra lavica, ed il bel fregio arabo al di sotto della merlatura.(VIDEO)

 

 

La facciata occidentale con i portali, con le relative torri, ricche di ben 148 colonnine ciascuna, furono aggiunte nel secolo XIV. Il bel portico meridionale, a tre navate venne eseguito nel secolo seguente, sotto l’Arcivescovo Simone Bologna. Il portale interno è opera di Antonio Gambara (1426).
Ma gran parte dell’esterno e tutto l’interno del tempio, furono manomessi nell’ultimo ventennio del secolo XVIII.
Dall’Arcivescovo Filangeri nel 1767 venne richiesto a Napoli, al marchese Tanucci, primo ministro di Stato del Regno delle due Sicilie, l’architetto della Real Camera, per studiare un progetto di restauro del tempio normanno. Fu inviato Ferdinando Fuga, regio architetto, il quale in parte seguendo il gusto del secolo, in parte i desideri dei prelati palermitani, elaborò un totale rinnovamento, che sconvolse la primitia costruzione.
Ingrandì il transetto ottenendo una pianta a croce latina, costuì grandiosi pilastri sorreggianti arcate a pieno centro, addossando ai pilastri quattro colonnine, distruggendo le arcate a sesto acuto sostenute da sole colonne. Sostitui il tetto con un ampia volta a botte; all’incrocio del transetto con la nave maggiore elevò la cupola neoclassica; in seguito il portale meridionale smontato pezzo per pezzo fu ricostruito più avanti. Le fiancate delle navi laterali vennero rettificate in relazione alle nuove esigenze.

 

Portico laterale voluto dall’Arcivescovo Simone da Bologna e realizzato da Antonio Gambara nel 1453, esempio di gotico catalano. Tre ampie arcate a sesto acuto sorrette da quattro colonnine, con elegante rifinitura a cordone interna, segnate in alto da un architrave al di sopra del quale si dispiega, aggraziato, un bellissimo timpano in due settori: nella parte superiore triangolare “Dio benedicente” con angeli musicanti ed una bella scena dell’Annunciazione, circondati da ricche decorazioni intagliate su pietra viva; nella fascia inferiore zone di elegante decorazione si alternano agli stemmi della Chiesa palermitana, dei Re d’Aragona e del Senato cittadino. Ai lati due robusti pilastri artisticamente lavorati simili per decorazioni alle alte torri del complesso.

 

 

Una delle colonnine che sostengono le arcate del portico (l’ultima a sinistra), conserva l’iscrizione a caratteri arabi di un versetto del Corano che si traduce: “Il nostro Signore Iddio creò il giorno seguito dalla notte; la luna e le stelle sono sotto il Suo comando. Non è vero che Egli ha creato queste cose? Non è vero che Egli è il padrone? Benedetto Iddio Signore dei secoli”.

 

 

Dentro il portico, nella parete di sinistra la scena dell’incoronazione di Carlo III di Borbone con ai due lati le statue dei due evangelisti Luca e Marco. Nella parete di destra si trova la scena dell’incoronazione di Vittorio Amedeo di Sicilia (1713) di G.B. Ragusa con ai due lati le statue dei due evangelisti Giovanni e Matteo della scuola del Gagini.

 

 

Nella parete di fronte, al centro il magnifico portale d’ingresso in pietra a vari piani nel quale si nota l’aquila a due teste dello stemma della Cattedrale. La grande porta a due ante in legno pregiato con preziosi intagli di F. Miranda è del 1432.
Parete destra del portico
Immediatamente sopra detto portale una nicchia contiene un prezioso mosaico di sapore Bizantino rappresentante la
Madonna con Bambino benedicente circondata da angeli adoranti con in mano gli strumenti della passione. Alla destra del portale numerose lapidi ricordano varie consacrazioni della chiesa e altri avvenimenti storici. Alla sinistra del portale, con trofei di armi ed una scritta a caratteri grandi, l’omaggio del Clero a Ferdinando III di Borbone.

 

 

Il secondo ordine del prospetto corrisponde alla parete della navata centrale. Davanti ad essa sono poste le cupolette con le caratteristiche lanterne che danno luce all’interno della navata laterale meridionale. La navata centrale è interrotta dal corpo del transetto, oltre il quale si estendono le pareti del Titulo e dell’Antitulo dell’antico tempio normanno, di epoca Gualteriana, i cui paramenti murari sono stati mantenuti. La parete del Titulo non chiude più alcun spazio interno, nella medesima si aprono tre delle quattro primitive monofore.

 

 

L’Antitulo Gualteriano e la torre angolare

L’Antitulo gualteriano mantiene all’esterno l’aspetto originario. Al grande oculo, riaperto dopo recenti restauri, seguono quattro alti archi, semi ogivali, che comprendono due ordini di monofore che danno luce al loggiato che corre all’interno della struttura.
La torre angolare è l’ultimo elemento del prospetto, il suo lato meridionale nel 1574 è stato arricchito dell’orologio opera di Vincenzo Gagini.

 

 

Il portale centrale da accesso alla navata centrale ed è stato realizzato tra il 1352 ed 1353, in stile gotico catalano, a vari piani dei quali quello più esterno chiude in alto con una edicola in cui è contenuto un bassorilievo di Maria con Bambino. La porta in bronzo a due ante di Filippo Sgarlata è stata collocate più recentemente nel 1961 e ritrae solennemente storie bibliche e avvenimenti religiosi della città. In alto sopra il portale centrale una bella bifora.
A sinistra e a destra, simmetricamente, due portali più piccoli sovrastati da monofore cieche consentono l’accesso alle navate laterali. La simmetria è rispettata anche nella collocazione di alcune nicchie e decori.
Due arco ponti collegano architettonicamente e funzionalmente la Cattedrale.

 

 

Alla torre campanaria realizzata su quella che doveva essere una delle torri di presidio delle antiche mura punico-romane e che oggi appare inglobata nel complesso dell’Arcivescovile.
Sui pilastri della balaustra antistante, realizzata nel XVIII secolo, si trovano le quattro statue che raffigurano, da sinistra verso destra, i Santi Giuseppe, Pietro, Paolo e Francesco di Paola, di G.B. Ragusa (1724-1725).
Il prospetto settentrionale che guarda Via dell’Incoronazione (nord)
Le cronache del tempo riportano che i Re raggiungevano la Cattedrale e la Cappella dell’Incoronazione attraverso un percorso coperto che la collegava al palazzo Reale più a monte.
Durante i lavori del grande restauro della fine del XVIII sec. fu eliminato il portico che era stato realizzato nel XVI secolo da Fazio e Vincenzo Gagini. L’attuale ingresso dalla Via dell’Incoronazione è stato composto architettonicamente recuperando elementi architettonici del portico eliminato.

 

 

Il prospetto orientale che guarda Piazza Sett’Angeli (est)

Particolarmente curato il prospetto che guarda ad oriente e ciò in quanto la Cattedrale è stata edificata in posizione che guarda ad oriente, verso Gerusalemme che per tutti i Cristiani rappresenta l’origine della Luce. Il corpo più basso che si protende esternamente rispetto al prospetto, corrisponde alla parte della Cripta emergente fuori terra.

 

 

L’antistante “planum Ecclesiae”, la grande piazza dove in altri tempi si svolgevano feste popolari con luminarie, giochi d’artificio ed anche i temibili processi del tribunale dell’Inquisizione, la cui pavimentazione è stata realizzata nell’anno 2000 secondo il progetto dell’Architetto Vincenzo Gorgone, è circondato da una balaustra marmorea in pietra di Billiemi, realizzata nel 1575, arricchita più tardi da numerose ed espressive statue di padri e Dottori della Chiesa, delle Sante patrone di Palermo, dei Papi e di altri santi legati alla nostra città.

 

 

Il prospetto è dominato dalla grande cupola in stile neoclassico, testimonianza del modo di esprimere il sentimento religioso con l’evolversi del gusto architettonico nei secoli. Realizzata tra il 1781 ed il 1801 secondo il progetto di Ferdinando Fuga, si eleva nel punto di incrocio tra la navata centrale ed il transetto. Chiusa in sommità dalla lanterna finestrata sulla quale campeggia la grande Croce in ferro.

 

 

La Navata settentrionale

La prima cappella in fondo accoglie il fonte battesimale con Adamo ed Eva afflitti per la colpa commessa (Filippo e Gaetano Pennino 1801). La seconda è quella di S. Maria degli Angeli, nella quale si ammirano la Vergine Assunta e scene evangeliche del Gagini. Segue la cappella di S. Antonio da Padova.
Subito dopo l’ingresso dalla Via dell’Incoronazione si trovano nell’ordine la cappella dedicata a S. Cristina, quella dell’Immacolata Concezione, quella di S. Pietro e S. Agata, ed infine quella della Madonna libera inferni, fine scultura di F. Laurana (1469).
Segue il transetto dove si trova l’altare del Crocifisso con una croce di pietra d’agata del settecento con figura del Cristo mirabilmente scolpito in legno nel XIV secolo. Ai piedi della croce sono rappresentati la Madonna e Maria Maddalena di Gaspare Serpotta e il S. Giovanni di Gaspare Guercio. Nella parte alta il Padre Eterno del Quattrocchi, all’altare scene della Passione di Fazio e Vincenzo Gagini (1565) piene di movimento e di suggestività. Alle pareti laterali le statue di S. Giovanni Battista e di S. Giuda Taddeo e scene sacre a tutto rilievo della scuola del Gagini. In fondo alla navata la Cappella del Santissimo Sacramento con il monumentale Tabernacolo in lapislazzuli (1663), alla parete il monumento dell’Arcivescovo Sanseverino genuflesso in fervorosa adorazione.

 

 

Nel Presbisterio

Si possono ammirare gli stalli dei Canonici, pregevole opera di arte catalana (1466). In fondo, dopo il baldacchino il posto riservato durante le cerimonie religiose al Re, con la scritta “prima sedes et regni caput”, quindi l’altare maggiore. Più in alto la potente scena del Cristo risorto del Gagini.
Alla volta dell’abside l’affresco di Mariano Rossi (fine del sec. XVIII) che rappresenta la cacciata degli Arabi e la consegna della Cattedrale fatta dal Conte Ruggero normanno all’Arcivescovo Nicodemo, nell’altro affresco dello stesso artista è la Gloria di Maria Assunta al Cielo, cui è intitolata la Cattedrale. Alle pareti le statue di S. Giacomo Minore, S. Matteo, S. Filippo, S. Giacomo Maggiore, S. Pietro, S. Andrea, S. Giovanni Evangelista, S. Bartolomeo, S. Tommaso e S. Simone.

 

 

Nella Navata Centrale

Sono disposte: nel lato settentrionale le statue di S. Oliva, S. Agnese, S. Lucia, S. Ninfa, S. Cristina, S. Francesco, S. Lorenzo, S. Cosma, S. Benedetto e S. Girolamo; nel lato opposto S. Cristoforo, S. Caterina, S. Agata, S. Domenico, S.M. Maddalena, S. Antonio, S. Stefano, S. Damiano, S. Sebastiano, S. Agostino; ai lati del Presbiterio S. Gregorio e S. Ambrogio. Nel pilastro antistante l’ingresso dal “Planum Ecclesiae” la bella acquasantiera del Gagini. Nel pilastro antistante l’ingresso dalla Via dell’Incoronazione l’altra notevole acquasantiera di Spatafora e Ferraro.
A terra, a partire dalla zona antistante la cappella di S. Francesco di P., nella navata meridionale, in direzione del transetto, si sviluppa la meridiana realizzata nel 1801 dall’astronomo Giuseppe Piazzi, costituita da una barra di ottone incastonata in una striscia di marmo che fa parte della pavimentazione. Lungo tutto il suo percorso tarsie policrome raffigurano i segni zodiacali. A mezzogiorno solare un raggio di sole attraversa un piccolo foro che si trova nella cupola antistante la stessa cappella si S. Francesco di P. andando illuminare il segno corrispondente al mese.

 

 

Nella Navata meridionale

Contigua al corpo che ospita i sarcofaghi di Re ed Imperatori, sopradescritti, troviamo la Cappella della Madonna della Lettera, poi, subito dopo l’ingresso dal Planum Ecclesiae antistante, la Cappella di S. Ignazio col dipinto di Pietro Novelli, la cappella del Beato Geremia, la Cappella delle Sacre Reliquie con, tra altre, le urne di S. Cristina, di S. Ninfa e di S. Mamiliano il primo vescovo di Palermo. E per finire la Cappella di S. Francesco di Paola.
Segue il transetto con il grande quadro dedicato all’Assunta con bassorilievi di Antonello Gagini del 1595 e col “Transito della Vergine”; in alto una grande tela di G. Velasquez, colorita ed espressiva. Nelle pareti laterali le statue di S. Mattia e di S. Paolo ed anche qui scene a tutto rilievo Gaginesche.
In fondo alla navata la Cappella di S. Rosalia protettrice di Palermo. Dietro un’alta e robusta cancellata di bronzo viene custodita l’artistica urna argentea, contenente le venerate reliquie di S. Rosalia, che il 15 luglio di ogni anno, durante il Festino, viene portata solennemente in processione per le vie della città con grande partecipazione di fedeli (ed in altri tempi anche dalle Autorità). Alle pareti due grandi bassorilievi di stile neoclassico, uno rappresenta S. Rosalia che vuole fermare l’ira dell’Angelo mandato da Dio col flagello della peste a punire la città, sotto è il sarcofago che ricorda il Cardinale Alessandro Lualdi, Arcivescovo di Palermo dal 1904 al 1927, l’altro rappresenta l’urna con le reliquie della Santa in processione di ringraziamento.

 

 

Le tombe reali

In fondo alla navata di sinistra sono raccolti quattro sarcofaghi reali in porfido, solenni ed austeri, a memoria dello splendore e della grandezza di Palermo “prima sede et regni caput”. Il primo che si incontra entrando nel tempio è quello di Federico II (morto nel 1250 – fu Imperatore di Germania e d’Italia, Re di Sicilia, Re di Gerusalemme e Imperatore del Sacro Romano Impero), poggiante su quattro leoni e sovrastato da un baldacchino anch’esso in porfido. Sul suo coperchio sono scolpiti sei tondi che rappresentano il Cristo Pantocratore, la Vergine col Bambino ed i simboli dei quattro Evangelisti.
Il secondo sarcofago, del tutto simile, è quello che contiene le spoglie dell’Imperatore Enrico VI (morto nel 1197) della casa di Svezia degli Hohenstaufen (figlio di Federico I detto il Barbarossa e padre di Federico II), il quale, sposando Costanza, ultima erede degli Altavilla, diventò Re della Sicilia.
Dietro, rispettivamente, il sarcofago dallo stile essenziale di Ruggero II (morto nel 1154), primo re di Sicilia, figlio del Gran Conte Ruggero della Casa Normanna degli Altavilla. Semplice e squadrato ma con un baldacchino di marmo bianco adornato di mosaici nei quali predomina il colore dell’oro, poi, quello dell’imperatrice Costanza figlia di Ruggero II (morta nel 1198) anch’esso sovrastato da baldacchino di marmo bianco adorno di mosaici dorati.
Alla parete, vicino ad Enrico VI, Costanza II d’Aragona prima moglie di Federico II (morta nel 1222) in una pregevole urna di età romana con scena di caccia. Un’altra urna, vicina a Federico II, conserva le spoglie di Guglielmo (morto nel 1337) duca d’Atene, figlio di Federico II d’Aragona che vi è rappresentato giacente con l’abito domenicano. Vicino gli stemmi aragonese e svevo.

 

 

La Cripta

Risale alla fondazione della chiesa, ha le volte a crociera, due navate separate da colonne di granito con capitelli quasi grezzi, sette absidi con sarcofaghi degli Arcivescovi: Cesare Marullo (1588), urna classica con caccia al cinghiale; Francesco D’Antiochia e Paolo Visconti (1313 e 1473), urna romana; Ottaviano Preconio (1588), sarcofago cinquecentesco; Federico D’Antiochia (1305), sarcofago medievale con Cristo benedicente e l’Annunciazione; in altro romano finemente lavorato con medaglione di spose e corteggio di Muse; Giovanni Paternò (1311), bella opera classica con guerrieri e alati geni, figura dormiente di Antonello Gagini; Pietro Tagliavia (1558) urna bizantina con Apostoli, Cristo e monogramma; Simone di Bologna (1465), quattrocentesco; Gualtiero Offamilio (Walter off Mill) (1190) il fondatore della Cattedrale.

 

 

Il Tesoro

Attraverso una porticina posta nel transetto accanto alla Cappella di S. Rosalia, dopo un piccolo ambiente dove è posta una statua della Santa, si accede ad un vano nel quale si trova un ricco portale quattrocentesco e quindi si arriva alla sacrestia dei Canonici con le sue volte gotiche, si osservino i due eleganti portali ed ecco il Tesoro con Paramenti, Calici, ostensori antichi, un breviario miniato del sec. XV e la “Corona di Costanza d’Aragona” rinvenuta nel suo sepolcro.

 

 

 

Castello della Zisa o Palazzo della Zisa

 

 

La Zisa è considerato il più splendido tra gli edifici costruiti dai sovrani all’interno dell’immenso parco che si estendeva nella Conca d’Oro. Questi padiglioni, isolati tra le acque ed i boschi, costituivano luoghi di diletto e venivano visitati soprattutto durante le cacce che si svolgevano nella riserva. Costruito secondo la tradizione ereditata dai sovrani arabi, la Zisa venne iniziato da Guglielmo I e terminato da Guglielmo II tra il 1164 ed il 1180. Modificato soprattutto nel XVII secolo e parzialmente ricostruito dopo il crollo del 1971 che ha interessato l’ala destra, l’edificio può solo dare una pallida idea dello splendore originario.
La Zisa è un edificio dalla possente mole parallelepipeda diviso in tre piani. Il coronamento a merli è di epoca moderna. Sottili cornici marcapiano e ed archi a ghiera multipla che circondano le finestre costituiscono la decorazione architettonica. Sul lato frontale il piano terreno è aperto da un portico il cui arco centrale più alto immette nella sala della fontana. Di fronte si trova una peschiera.

 

 

Dai lati corti sporgono due torrette che costituiscono, insieme alla sala della fontana, i principali elementi dell’ingegnoso sistema di canalizzazione dell’aria che sfruttava i venti dominanti e la frescura generata dall’acqua per portare refrigerio nei locali interni.

 

 

Il lato posteriore, rivolto verso i monti ad Ovest, non presenta il portico ma da su questo lato si apriva l’ampio salone, un tempo aperto, posto nella sezione centrale del terzo piano. Questo locale è ora coperto da una volta Seicentesca.

 

 

Il portico è coperto da ampie volte a crociera: in origine proseguiva per circa 40 metri verso N verso il luogo in cui si trovava una cappella.

 

 

Di fronte all’arco centrale si apre la celebre sala della fontana, alta sino al secondo piano e decorata da nicchie sontuosamente scolpite a mugarnas.

 

 

La parte inferiore è decorata con lastre marmoree intarsiate e delimitate da colonnine angolari dai delicati capitelli scolpiti.

 

 

Al centro si conserva un mosaico decorato con elementi iconografici di derivazione iranica.

 

 

L’acqua fuoriusciva da una nicchia nel muro e dopo aver percorso una cascatella e varie vasche, si versava nella peschiera. Le aperture delle nicchie portavano l’aria rinfrescata dall’acqua sino ai piani superiori.

 

 

 

Cuba

 

 

Situata all’interno di quello che un tempo era l’esteso parco di caccia dei re normanni chiamato il “Genoard” (che in arabo significa: paradiso della terra), la Cuba (dall’arabo qubba che vuol dire arco) sorge poco lontano da Porta Nuova nell’attuale corso Calatafimi.
Questo sontuoso palazzo, che presenta tutti i caratteri peculiari dell’architettura d’età normanna, fu voluto da Guglielmo II il Buono, come testimonia una iscrizione araba in caratteri cufici che decora la cornice d’attico della fabbrica decifrata da Michele Amari nel 1849: Nel nome di Dio, clemente e misericordioso Bada qui, ferma qui la tua attenzione, fermati e guarda!
Vedrai Egregia stanza dell’Egregi tra i re della terra, Guglielmo Secondo, non v’ha castello che sia degno di lui, nè bastano le sue sale… né quali notansi i momenti più avventurati e i tempi più prosperi. E di nostro Signore il Messia mille e cento aggiuntovi ottanta che son corsi tanto lieti”.
Il palazzo, coevo a quello della Zisa, che eguagliò in magnificenza, venne portato a compimento nel 1180, era uno dei sollazzi regi (luoghi di delizie), ed un tempo era circondato da un magnifico parco con vigneti, frutteti e da una grande peschiera. Rimasto possedimento della monarchia di Sicilia fino agli inizi del XIV secolo, nel 1320 divenne proprietà di privati. In questo secolo venne menzionata dal Boccaccio nel suo “Decamerone”, che vi ambientò la sesta novella della quinta giornata riguardante l’amore del giovane Giovanni da Procida per una giovane fanciulla destinata a Federico II d’Aragona è chiusa nel palazzo reale.
Ritornata al patrimonio regio, nel 1436 Alfonso il Magnanimo la concesse a Guglielmo Raimondo Moncada conte di Adernò, uno dei suoi viceré in Sicilia, finché nel 1575 durante la peste venne adibito a lazzaretto per gli appestati.
Successivamente in epoca borbonica fu aggregato alla caserma di cavalleria dei “Borgognoni”, subendo pesanti trasformazioni ed ampliamenti, con l’aggiunta di nuovi corpi di fabbrica.

La Cuba è una costruzione regolare di forma squadrata, costruita con pietre ben lavorate, di buone proporzioni, tuttavia movimentato da quattro avancorpi a forma di torre, uno al centro di ogni lato, e dal paramento murario esterno ripartito in lunghezza dalle “ghiere” a rincasso e ornato da arcate ogivali. L’edificio si presenta oggi come una grande scatola muraria semivuota, nulla più rimane, se non pochi resti, delle decorazioni dei piani interni e dei rivestimenti del piano terra.
Originariamente l’ingresso al palazzo avveniva da uno dei lati minori del palazzo (fronte meridionale), in corrispondenza del quale sono state ritrovate le tracce del ponticello che lo collegava alla terraferma, essendo l’edificio circondato, come già detto, da una ‘ampia peschiera, e introduceva dall’avancorpo in un vestibolo costituito da tre ambienti voltati che comunicavano fra loro. Da qui si accedeva a un grande spazio centrale quadrato e scoperto, una sorta di atrio con due fontane in nicchia sui lati nord e sud, un impluvium (vasca) centrale, pavimento a mosaico, e quattro colonne poste in corrispondenza dei quattro angoli (analogo all’atrio del piano superiore della Zisa e alla sala dei venti del Palazzo Reale).
Nel lato ovest si apriva l’ampio fornice del “diwan“, la sala di rappresentanza.

 

 

La Cuba sottana (dall’arabo Qubba, “cupola”) fu costruita nel 1180 per il re Guglielmo II d’Altavilla (1166-1189), al centro dell’ampio parco del Genoardo – dall’arabo gennet-ol- ardh, “paradiso in terra” – il parco reale voluto da Ruggero II d’Altavilla (1130-1154).
Il Genoardo comprendeva al suo interno anche la Cuba soprana e la Cúbula (piccola cuba), e faceva parte dei Sollazzi Regi, un circuito di splendidi palazzi della corte normanna situati intorno a Palermo.
L’uso originale della Cuba era di padiglione di delizie, ossia di un luogo in cui il re e la sua corte potevano trascorrere ore piacevoli al fresco delle fontane e dei giardini di agrumi, riposandosi nelle ore diurne o assistendo a feste e cerimonie alla sera. La Cuba sottana, appare oggi di proporzioni turriformi abbastanza sgraziate. La spiegazione è semplice. Era originariamente circondata da un bacino artificiale profondo quasi due metri e mezzo. L’apertura più grande, sul fronte settentrionale, si affacciava sull’acqua ad un’altezza oggi inspiegabile.
Le notizie sul committente e sulla data sono riportate nell’epigrafe posta sul muretto d’attico dell’edificio. La parte più importante, quella sul committente, era dispersa e fu ritrovata nel 1849 da Michele Amari, scavando ai piedi della Cuba. La parte dell’epigrafe ritrovata dall’Amari, esposta in una sala a lato, recita: “[Nel] nome di Dio clemente e misericordioso. Bada qui, fermati e mira! Vedrai l’egregia stanza dell’egregio tra i re di tutta la terra Guglielmo II re cristiano. Non v’ha castello che sia degno di lui. … Sia lode perenne a Dio. Lo mantenga ricolmo e gli dia benefici per tutta la vita”.

 

 

Il fatto straordinario di questa epigrafe, che dimostra la tolleranza e l’apertura della corte normanna, è la lingua in cui è scritta: arabo fatimide in caratteri cufici. Dunque pur riferendosi ad un re cristiano l’iscrizione è in arabo.
Nei secoli successivi, la Cuba fu destinata agli usi più vari. Il lago fu prosciugato e sulle rive furono costruiti dei padiglioni, usati come lazzaretti dal 1576 al 1621.
In seguito svolse la funzione di caserma per una compagnia di mercenari borgognoni e divenne infine proprietà dello Stato italiano nel 1921. Negli anni ’80 comincia il restauro che riporta alla luce le strutture del XII secolo.
Nella Cuba viene infine imprigionata Restituta, protagonista della sesta novella della quinta giornata del Decamerone di Giovanni Boccaccio, ambientata all’epoca del re di Sicilia Federico II (III, secondo altra numerazione) d’Aragona (1295-1337).

 

 

Dall’esterno, l’edificio si presenta in forma rettangolare, lungo 31,15 metri e largo 16,80. Al centro di ogni lato sporgono quattro corpi a forma di torre. Il corpo più sporgente costituiva l’unico accesso al palazzo dalla terraferma. I muri esterni sono ornati con arcate ogivali. Nella parte inferiore si aprono alcune finestre separate da pilastrini in muratura.
I muri spessi e le poche finestre erano dovuti ad esigenze climatiche, offrendo maggiore resistenza al calore del sole. Inoltre, la maggior superficie di finestre aperte era sul lato nord-orientale, perché meglio disposte a ricevere i venti freschi provenienti dal mare, temperati ed anche umidificati dalle acque del bacino circostante.

 

 

Dall’entrata si accede ad un locale a pianta quadrata delimitato da alte nicchie a sesto acuto che danno all’insieme l’aspetto di una fortezza. Da questo locale si accede ad un ampio spazio quadrato aperto da un alto arco trionfale che immette al terzo ed ultimo spazio rettangolare che doveva costituire la sala
del trono. Lo spazio centrale, dove si trova un impluvium e dove sono state trovate le fondamenta di quattro colonne angolari, doveva essere aperto e circondato da un percorso coperto perimetrale.

 

 

L’interno della Cuba era infatti originariamente diviso in tre ambienti allineati e comunicanti tra loro. La sala centrale era inoltre abbellita da decorazioni a muqarnas, delle quali ne rimane soltanto una.

 

 

 

Cuba Soprana

 

I giardini sono uno dei segni distintivi della concezione araba, ereditata dai normanni. Il giardino, con la sua verzura, con la varietà coloristica dei fiori, con la bellezza degli alberi, è simbolo del paradiso islamico descritto nel Corano, luogo di riposo, come l’oasi nei deserti arabici. Scomparso il parco arabo – normanno di Palermo, possiamo avere un’idea del suo significato attraverso gli splendidi giardini del Generalife nell’Alhambra di Granada, in Spagna, l’unico palazzo musulmano medievale che esista ancora in Occidente. Nel Generalife tutto è semplice, riservato, diviso in piccoli scomparti, umidi e ombreggiati; i vialetti possono contenere appena due persone affiancate; ovunque sono piante odorose, fitte boscaglie, fiori dai bei colori brillanti; l’acqua sgorga da infinite fontanelle e scorre mormorando in stretti canali che si intersecano, mescolandosi alla vegetazione e agli edifici.
Anche il parco di Palermo era ricco di fontane, vivai, chioschi, palazzi. Di queste costruzioni, oltra alla Zisa, restano oggi solo alcune vestigia, fra cui la Cuba, che ne ripete le forme, e la Cúbula, unico sopravvissuto fra i molti chioschi.

 

 

I resti della Cuba Soprana (XII secolo) di cui parlano le fonti sono oggi inglobati nella settecentesca Villa Napoli. In età tardomedievale questo edificio per il soggiorno dei re normanni venne trasformato in torre agricola fortificata.

 

 

Oggi del palazzo normanno rimane solo un muro di conci ben connessi di tufo, in cui si apre ad una certa altezza un’arcata ogivale con doppia ghiera affiancata da finestre. In basso vi è un’altra arcata, forse posteriore e di dubbia funzione. Un bacino artificiale o una peschiera simile a quella antistante la Zisa doveva qualificare questo padiglione posto nel giardino regio del Genoardo.
Il corpo rettangolare della villa settecentesca si protende con due ali verso l’esterno e racchiude al centro un bassissimo scalone a doppia rampa, sormontato da un fastigio a balaustra.

 

 

Inserita all’interno del giardino della villa è la Cúbula, l’unico rimasto dei molti chioschetti che arricchivano il Genoardo. Costruita durante il regno di Guglielmo II (XII secolo) è caratterizzata da una struttura cubica (m 6 x 6 circa) sormontata da una cupola rialzata su un tamburo cilindrico e rivestita da cocciopesto idraulico, il cui colore rosato fu accentuato durante i restauri ottocenteschi del Patricolo. Le aperture ogivali sui quattro lati, caratterizzate da una doppia ghiera liscia e una con bugne a guancialetto, favorivano il soffiare della brezza necessaria nella calura estiva.

 

 

All’interno del padiglione, molto semplice, nicchiette tripartite agli angoli del quadrato modulano il passaggio al cerchio di base della cupola. Una piccola fontana ottocentesca arricchiva l’ambiente.

 

 

A modello del sistema idrico della Zisa o del Castello della Favara o di Maredolce, dalla parete di fondo, in prossimità della muqarnas fuoriusciva un rivo d’acqua che attraversava l’ambiente e, oltrepassato il portale d’ingresso, andava ad alimentare la pescheria.
Al livello superiore si accede da una scalinata ricavata nei vani all’iwan centrale, dove rimane solo la cappella con i muri perimetrali arricchiti da arcate cieche disposte secondo il consueto stile decorativo normanno.

 

Castello dell’Uscibene o Palazzo dell’Uscibene

 

 

Castello dell’Uscibene, detto anche Palazzo Scibene o palazzo dello Scibene, la definizione di castello è impropria perché in realtà si tratta di uno storico palazzo arabo- normanno di Palermo.
Uno degli antichi Sollazzi Regi dei re normanni in Sicilia, situato nel quartiere Altarello di Baida. Un palazzo “reale” di cui non si hanno fonti storiche che consentano di datare con certezza la sua origine, ma che, insieme a quello di Maredolce, del Parco (oggi Altofonte), la Cuba Sottana, la Cuba Soprana, la Piccola Cuba e la Zisa, costituivano i sollazzi o “palazzi di piacere”, residenze reali destinate allo svago e al riposo specie nei periodi più caldi. Per questo erano costruiti nella Piana di Palermo, attorniati di giardini rigogliosi, e acque che rendevano più piacevole la residenza.
Da un’analisi stilistica, si presume che l’edificio appartenga al regno di Ruggero II (XII sec.) dal momento che non vi è alcuna documentazione che testimoni che il palazzo esistesse già nel periodo islamico.
La sua costruzione sarebbe databile secondo alcune interpretazioni tra il 1130 ed il 1154 in pieno periodo ruggeriano, ma è anche possibile che la sua costruzione sia ritardabile di alcuni decenni nel periodo compreso tra il 1154 ed il 1189.
Al centro è presente una fontana simile a quella del castello della Zisa e si trova in una sala cruciforme, vi sono anche delle piccole volte di tipo orientale poste anche in altri edifici contemporanei. Ad una estremità dell’edificio c’è una piccola chiesa con volte a botte.
Nel livello inferiore troviamo ancora oggi la presenza di un îwân a pianta quadrata con due ampie sale attigue simmetriche.
La copertura con volta a crociera ha tre nicchie, una di fondo e due laterali, coperte da semicalotte, nella calotta di fondo in pietra e stucco restano alcune tracce di muqarnas con alveolature, mentre nelle due nicchie laterali, costituite da catini a ombrello rivestiti di stucco, ancora in parte riconoscibili muqarnas scanalati a sezione triangolare.

 

 

Nel livello inferiore troviamo ancora oggi la presenza di un îwân a pianta quadrata con due ampie sale attigue simmetriche.

 

 

La copertura con volta a crociera ha tre nicchie, una di fondo e due laterali, coperte da semicalotte, nella calotta di fondo in pietra e stucco restano alcune tracce di muqarnas con alveolature, mentre nelle due nicchie laterali, costituite da catini a ombrello rivestiti di stucco, ancora in parte riconoscibili muqarnas scanalati a sezione triangolare.

 

 

 

Chiesa di S. Maria dell’Ammiraglia

(Martorana)

 

 

Giorgio d’Antiochia, figlio di un avventuriero, passò nella marina di Ruggero II. In breve creato stratega, ammiraglio, ed infine ammiraglio degli ammiragli, rese segnalati servizi al suo Re, di cui aveva abbracciato anche la religione.
Impiegò le ingenti ricchezze oltre che nella costruzione di un palazzo, che diede la denominazione alla via chiamata: Rua de Ammirado, anche nella costruzione di un ponte sul fiume Oreto (detto ancora dell’Ammiraglio) e di una chiesetta votiva alla Madonna (VIDEO).
La chiesetta antica, prezioso gioiello d’arte, ha pianta quadrata, terminata da tre piccole absidi. Dalle quattro colonne di granito dell’interno, si elevano le arcate che sorreggono una cupoletta emisferica, raccordata per mezzo di trombe a nicchie rientranti.

 

 

L’armonia di quel cubo formato di piccoli conci di pietra d’Aspra ben squadrata, solo decorato da arcatelle cieche tutte intorno alle finestre a sesto leggermente acuto veniva un tempo messa in valore da un atrio che congiungeva la chiesetta votiva alla bella torre in vari ordini, impreziosita da colonnine, da ornati a pietre laviche nere e da una cupoletta alla cima, stagliante in rosso nel cielo di puro cobalto.
Nell’interno della chiesetta il pio Ammiraglio fece imporre i gioielli, come un ricco cofanetto: le ieratiche composizioni figurative, vivaci di colore, campite d’oro. Secondo iconografia bizantina vennero eseguite le scene principali della Redenzione di Cristo e le storie della vita della Madonna. Le vele delle volte angolari furono immaginate d’azzurro, picchiettate di stelle.
I soggetti principali delle composizioni musive esistenti sono: L’Annunciazione e la Presentazione al Tempio sulle arcate della nave centrale, la Natività di Gesù ed il Transito di Maria nella volta. Gesù Cristo Pantocrator fra angeli, profeti e santi nel cavo della cupola, S. Gioacchino e S. Anna nelle conche absidali laterali, la Preghiera di Giorgio d’Antiochia e l’Incoronazione di Ruggero II, ora nelle cappelle laterali. Le pareti e il pavimento furono ornati di mosaico e di lastre di marmo e di tondi di porfido a disegni geometrici, d’influenza araba. Pure di fattura araba è la bella porta di legno intagliato, collocata lateralmente.
Dal giorno in cui la chiesa dal rito greco passò al rito latino e fu affidata alle suore (1433) del vicino monastero fondato da Eloisa Martorana (1194) cominciarono le deturpazioni. Abbattuta l’abside centrale, fu costruita una cappella rettangolare ornata poi di marmi policromi barocchi e di affreschi di Antonio Grano (1684-1686).
Distrutto l’atrio, la croce greca fu mutata in croce latina e le volte furono decorate da affreschi di Guglielmo Borremans (1717) e di Olivio Sozzi (1744) (VIDEO).

 

Gesù Cristo Pantocrator fra angeli

Gesù Cristo Pantocrator fra angeli

 

L’Incoronazione di Ruggero II

L’Incoronazione di Ruggero II

 

La Natività di Gesù

La Natività di Gesù

 

 

Chiesa di San Cataldo

 

 

La costruzione muraria di questa Chiesa costruita da Maione da Bari verso 1160, è molto simile a quella di S. Giovanni degli Eremiti, ma la pianta se ne allontana. Essa è a tre navate, terminate da absidi. Tre cupolette allungate si innalzano quasi per mostrarsi al disopra del fregio arabo di coronamento del sacro edificio (VIDEO).
La chiesa si presenta come un volume parallelepipedo sul quale si imposta un tamburo allungato aperto da finestre che sorregge tre cupole a sesto molto rialzato. Le finestre del corpo principale sono racchiuse da archi ciechi a doppio rincasso poco sporgente.

Lo schema è ripreso sulla facciata, dove si apre il portale principale costituito da un semplice arco ogivale. Oggi l’accesso avviene però dalla porticina posta sul fianco sinistro.

 

 

L’interno, disadorno di mosaici, mostra meglio lo schema costruttivo arabo-bizantino, specie nei raccordi delle cupole, a spigoli taglienti.
L’interno è diviso in tre navate da sei colonne. La navata centrale è costituita da tre campate a pianta quadrata coperte da cupole. Sulle campate orientali si innestano le tre absidi poco profonde.

Caratteristica di questa come di altre chiese palermitane è la fusione della componente centrica data dalle cupole con la componente basilicale.

 

 

Le navatelle sono ricoperte da volte a botte ogivale. Tutti gli archi hanno profilo ogivale, cosa che contribuisce ad aumentare lo slancio verticale.

 

Le cupole ricadono su pennacchi gradonati, elemento architettonico di origine orientale.

 

Gli archi delle absidi ricadono su colonnine addossate che contribuiscono ad alleggerire la struttura.

I capitelli sono di riutilizzo da edifici più antichi. Molto belli quelli decorati da fogliame scolpito a giorno.

 

Il pavimento a disegni geometrici, ornato di marmi e fasce di mosaico è l’unica risorsa cromatica dell’armoniosa chiesetta.

 

 

L’altare originale è costituito da una lastra di marmo decorata a sottile incisione con un Agnus Dei circondato dai simboli degli evangelisti.

 

 

 

 

Chiesa di S. Giovanni degli Eremiti

 

 

Le rosse cupole, le mura esterne senza decorazioni, a spigoli nitidi, danno a questa costruzione un aspetto del tutto orientale, reso più suggestivo dalla florida vegetazione del giardino che la circonda e dal chiostrino della fine del secolo XIII a colonne geminate, che sostengono le doppie arcate acute, sormontate da una leggera sagoma.
La chiesetta sorta nel 1132, a ridosso di una delle numerose moschee che esistevano a Palermo nel secolo X, ha una pianata a T, detta pianta a croce commissa.

 

 

L’unica nave è divisa esattamente in due quadrati; poi segue l’abside semicircolare che accoglie l’altare, fiancheggiata da due emicicli minori per la protasis e il diaconicon, inscritti nello spessore dei muri.
La torre si eleva semplice ed elegante sullo spazio corrispondente alla protasis. L’interno solo decorato dalla nudità suggestiva dei blocchi di pietra squadrata, è illuminato da piccole finestre a sesto acuto una volta chiuse da transenne marmoree. Le cupole emisferiche sono raccordate, come alla Martorana, da trombe “a nicchie rientranti”.
La chiesa presenta un prospetto orientale movimentato dal campanile che si leva al di sopra del braccio sinistro del transetto.

 

 

Molto suggestivo è l’interno, con una navata in due campate quadrate divise da un ampio arco ogivale. Un altro arco la divide dal presbiterio, costituito da una campata centrale affiancata da due ambienti che costituiscono i bracci del transetto.

 

 

La campata centrale presenta un’abside aperta da una singola finestra; al di sopra, una cupola si appoggia ad un tamburo che ha una struttura simile a quelli della navata ma con elementi architettonici semplificati.

 

 

Accanto alla chiesa si osserva un piccolo chiostro, appartenuto ad un monastero benedettino costruito nel XIII secolo. Gli archi rincassati poggiano su colonnine con capitelli fogliati. nell’angolo del chiostro si trova ancora una cisterna.

 

 

Chiesa della SS. Trinità

Magione

 

 

Facciata principale. Ai tre portali a sesto acuto, di diverse dimensioni, incorniciati da bugne, fanno riscontro, al livello superiore, tre monofore.

 

La chiesa della SS. Trinità, comunemente conosciuta come “Magione”, si erge sul lato meridionale di un vasto spiazzo nella omonima piazza Magione. Una spianata formatosi in seguito ai bombardamenti aerei del 1943 (particolarmente devastanti in questa zona) le cui ferite ancora aperte si potevano vedere ancora non molti anni addietro.
Questa chiesa insieme all’annessa abbazia fu fondata sul finire del XII secolo da Matteo D’Aiello, cancelliere di Tancredi, l’ultimo Re normanno, che proprio da Matteo, nel 1190, aveva ricevuto la corona regia, secondo la testimonianza di Riccardo di San Germano “est per ipsum Cancellarium coronatus Rege”.
Il complesso chiesa-monastero occupò un settore urbano “infra moenia in civitate panormi”, (dentro le mura della città di Palermo) con edilizia rada, dove risultava l’unica emergenza architettonica del posto, ed era circondato da un grande giardino (“viridarium Chiostro di Monreale magnum”) così vasto, che nei periodi di carestia, veniva piantato a grano per sfamare la popolazione.
Matteo D’Aiello la volle intitolare alla SS. Trinità, una scelta non casuale, come una forma di risposta a quelle dottrine considerate ereticali, che in quei tempi, sotto forma di correnti teologiche e filosofiche, tendevano ad alterare il concetto di “Trinità”.
Per lo stesso motivo chiesa e convento furono donati ai monaci Cistercensi che S. Bernardo di Chiaravalle, per istanza dell’amico Re Ruggero, aveva mandato in Sicilia anni prima. Infatti questo ordine monastico, in quei tempi il più influente all’interno della chiesa cattolica, rappresentava un vero baluardo a difesa del Dogma cattolico della SS. Trinità contro tutte le dottrine ereticali del tempo.
I frati Cistercensi mantennero il possesso della chiesa e dell’abbazia per pochi anni, nel 1197 infatti l’Imperatore svevo Enrico VI, cacciava i cistercensi, che gli erano stati ostili, concedendo gli edifici all’ordine dei cavalieri teutonici (“ordo hospitalis Sanctae Mariae theutonicorum Jerusalem”) che annoverava lo stesso Imperatore tra i suoi confratelli. Da questo momento la chiesa assunse il titolo “Mansio Sanctae Trinitatis“, divenendo la casa dei Cavalieri Teutonici, cioè la “mansio theutonicorum”, da cui il nome Magione. I cavalieri manomisero pesantemente chiesa e convento, ne stravolsero l’assetto architettonico originario, crearono nuove cappelle all’interno della chiesa, ingrandirono il convento e costruirono un ospedale destinato ai pellegrini di etnia germanica provenienti o diretti in Terra Santa.
Essi possedettero il complesso religioso fino al 1492 quando la Magione fu eretta in commenda (cioè data in affidamento) e governata per quasi due secoli da Abbati commendatari (primo fra i quali il Cardinale Rodrigo Borgia, il futuro Papa Alessandro VI) e anche loro vi apportarono nuove modifiche occultando preesistenti strutture medievali. Infine nel 1787, Ferdinando III di Borbone aggregò la chiesa con tutti i suoi beni all’ordine Costantiniano di San Giorgio.

 

Portale barocco.

 

La chiesa, realizzata da maestranze e da artisti di origini islamiche, che è stata costruita probabilmente inglobando una struttura religiosa preesistente (moschea), rappresenta uno degli ultimi prodotti dell’architettura medievale siciliana d’impronta fatimita (che fu una dinastia musulmana sciita che si impose tra il X e il XII secolo in alcune regioni mediterranee, tra cui la Sicilia) e mostra in chiave ridotta, lo stesso schema iconografico delle cattedrali di Palermo e Monreale.
L’esterno presenta una ricca varietà di motivi decorativi e possiede i caratteri inconfondibili della cultura architettonica del mondo arabo che si riscontrano in quasi tutte le architetture Ecclesiali costruite in Sicilia tra XI e XII secolo.
La facciata è formata da tre portali ogivali con ghiere a rincasso, uno più grande al centro, che è anche l’ingresso alla chiesa, e due laterali più piccoli. Più sopra si trovano cinque finestre, di cui tre cieche al centro e due lucifere ai lati, inoltre, nell’ordine più alto, vi è una finestra posta in asse con il portale principale.

 

Facciata principale

La parte posteriore dell’edificio termina in tre absidi, di cui quella centrale è disegnata da archi intrecciati ben sporgenti mentre nelle minori questi sono appena accennati e nei fianchi viene riproposto il motivo delle finestre cieche con ghiere a rincasso.

 

La parte posteriore dell’edificio termina in tre absidi.

 

L’interno della chiesa, ampio e arioso, unisce il tipo di pianta longitudinale a croce latina, con un corpo centrico a tre absidi.

 

 

L’impianto che ne risulta è quello tradizionale di tipo basilicale a tre navate separate da grandi archi ogivali sostenuti da colonne monolitiche di spoglio di diversa altezza, con capitelli a motivi vegetali stilizzati diversi nella forma e nella decorazione.

 

L’interno della chiesa. Corpo centrico a tre absidi, tre navate separate da grandi archi ogivali sostenuti da colonne monolitiche di spoglio di diversa altezza

 

Il motivo delle colonnine si ripresenta nella zona del presbiterio che appare soprelevato, come la navata centrale con soffitto ligneo, un tempo magnificamente dipinto. Nei tempi passati la chiesa, che doveva essere ricca di preziosi manufatti e opere d’arte (dipinti su tavole, icone dipinte e rivestimenti marmorei parietali), oggi la troviamo quasi spoglia, vi sono poche opere ma certamente di grande valore artistico.

 

Copertura del tetto in legno.

 

altare maggiore in pietra decorato a rilievo

 

Entrando sul lato destro troviamo una Pietà di Archimede Campini del 1953. Accanto all’ingresso, sempre a destra, una bella acquasantiera del XVI secolo; di seguito, addossato alla parete, un Cristo benedicente della bottega dei Gagini e ancora un trittico marmoreo tardo gotico, con al centro una Madonna col bambino e S. Caterina.

 

Pietà di Archimede Campini

Pietà di Archimede Campini

 

Cristo benedicente, bottega del Gagini.

 

Vergine col Bambino. Bottega del Gagini.

 

Navata laterale dx, trittico marmoreo di età tardo gotica. Trittico marmoreo raffigurante lo Sposalizio mistico di Santa Caterina fra i Santi Nicola e Michele. Scuola Gaggini o Gagini.

 

Nella parete della navata sinistra vi è una Croce in pietra con l’emblema dei Cavalieri Teutonici, sotto si trova il sarcofago funerario di F.sco Perdicaro, Maestro Razionale del Regno, opera di V.zo Gagini. A seguire, attaccata alla parete, una Madonna col Bambino, sempre della bottega dei Gagini, e più avanti un elegante portale rinascimentale attribuito a F.sco Laurana, introduce alla sacrestia.
Negli oltre otto secoli della sua vita, la chiesa è stata sottoposta a numerosissimi restauri, i più rilevanti quelli di Giuseppe Patricolo e di Francesco Valenti che riportarono la chiesa, per quanto è stato possibile, al suo aspetto originario.
Infine, dopo i rovinosi bombardamenti dell’ultima guerra, è stata ancora una volta restaurata e parzialmente ricostruita.
Questo monumento, che si trova ai margini dei circuiti turistici tradizionali, ha sempre un suo fascino particolare, quasi spirituale: la nuda pietra, le linee semplici delle sue strutture, lo scarno apparato ornamentale, sembrano voler non farci dimenticare che la religione prima di ogni altra cosa, deve essere “povertà”.

 

sarcofago funerario di F.sco Perdicaro

 

Chiostro

 

Tra chiesa e convento, si accede anche al suggestivo chiostro che costituisce ciò che rimane dell’originario monastero cistercense del XII secolo.

Si riproduce il motivo degli archi a sesto acuto retti da coppie di colonne con capitelli finemente decorati.

Il chiostro del convento della Magione

 

Portici del chiostro del convento della Magione.

 

Il chiostro del convento della Magione. Archi a sesto acuto retti da coppie di colonne con capitelli finemente decorati.

 

 

San Giovanni dei Lebbrosi

 

Mancando elementi documentari certi, gli storici in gran parte accettano la tradizione che data la costruzione della chiesa al 1071, durante l’assedio di Roberto il Guiscardo e del fratello Ruggero alla città di Palermo. La chiesa sarebbe pertanto la prima chiesa latina della città e prototipo per altre costruzioni. Dedicata a S. Giovanni, prende il nome da un lebbrosario che venne annesso alla chiesa. Tenuta dall’ordine Teutonico fino al XIV secolo, divenne in seguito proprietà dell’abazia della Magione.

 

 

 

La facciata della chiesa, che si caratterizza per la secca giustapposizione di volumi ben definiti, è preceduta da una torre, la cui base costituisce l’atrio di accesso, affiancato da una struttura che contiene la scala di accesso alla torre stessa. La parte superiore della torre è opera di ricostruzione arbitraria.
I fianchi non presentano scansioni architettoniche e sono aperti da finestre delimitate da una ghiera dal rincasso poco profondo.

 

Campanile e portico.

 

Nella parte laterale, sono aperti da finestre delimitate da una ghiera dal rincasso poco profondo

 

Più movimentata è la parte absidale. Il transetto non è eccedente in pianta ed è costituito da tre volumi parallelepipedi di cui quello centrale a pianta quadrata sorregge la cupola in stile moresco. I due laterali costituiscono i bracci ed hanno una pianta rettangolare sviluppata in senso longitudinale. Completano l’insieme le tre absidi.

 

Lato posteriore della chiesa, tripla abside

 

L’interno è a tre navate su pilastri ottagonali che sorreggono senza mediazioni gli archi longitudinali.

 

La navata centrale più grande rispetto alle due laterali, presenta copertura lignea a capriate. Possenti pilastri composti sorreggono gli archi di accesso al presbiterio.

 

Le navate laterali sono molto più strette di quella centrale. Possenti pilastri composti sorreggono gli archi di accesso al presbiterio.

L’impianto interno è quello tradizionale basilicale a tre navate, divise da tre coppie di robusti pilastri a sezione poligonale, sui quali impostano quattro arcate dal sesto moderatamente acuto. Le navate, di cui quella centrale più grande rispetto alle due laterali, presentano coperture lignee a capriate.

 

 

Il presbiterio è sopraelevato rispetto alla navata ed è coperto da una cupola su pennacchi gradonati.

 

Crocifisso quattrocentesco pendente al centro dell’abside.

 

 

Ponte dell’Ammiraglio

 

Ingresso con basolato antico.

 

Pavimentazione in basolato antico.

 

Ponte dell’Ammiraglio. Costruito tra il 1130 e il 1140 da Giorgio d’Antiochia, ammiraglio di re Ruggero.

Il ponte, che si trova sul luogo dove scorreva il fiume Oreto prima di essere deviato, rappresentava un elemento di grande importanza per la viabilità di quel periodo, quando Palermo era raggiungibile solo dal mare.

La struttura è costituita da due rampe poggianti su cinque arcate interrotte da quattro arcatelle più piccole, tutte ad ogiva e disegnate da ghiere piatte.

Presso questo ponte, nella notte del 27 maggio 1860, le truppe garibaldine piegarono, in una dura battaglia, quelle borboniche che s’opponevano al loro ingresso in città.

 

Castello di Maredolce

 

Il Castello di Maredolce (VIDEO), anche noto come Castello della Favara, è un antico sollazzo regio di epoca normanna, situato alle porte di Palermo.

Oggi quasi nascosto alla vista dei passanti da costruzioni abusive, si trova nel vicolo Castellaccio prospiciente piazza dei Signori a Brancaccio.

Resta imprecisata l’epoca di fondazione; alcuni studiosi tendono ad attribuirla all’Emiro Kalbita Giafar (997/1019), ritenendo anche che sia stato costruito su una costruzione preesistente. Altri studiosi ritengono che la costruzione sia di periodo normanno; altri ancora suppongono che il castello sia di epoca araba, il laghetto di epoca normanna. Il Basile sostiene addirittura che i sollazzi siano stati due: quello di Maredolce e quello della Favara e che uno dei due sia stato distrutto durante la guerra del Vespro.

Il lago del Castello di Maredolce veniva navigato dal re e dalla sua corte per soddisfare i loro momenti di piacere personale, ed era anche utilizzato, data la gran quantità di pesci, come riserva di pesca.

Al centro del lago sorgeva una piccola isola artificiale di forma irregolare, piantata ad agrumi e con un palmeto, dove il re si recava per stare immerso nelle delizie.

L’invaso del lago, oggi colmato da qualche metro di terra è ancora perfettamente riconoscibile dagli argini costruiti con grossi blocchi di pietra calcarenitica, ammantata di uno strato di intonaco idraulico rosso, il “cocciopesto” che ha resistito all’ingiuria del tempo.

Sotto i re normanni, a cui piacquero la posizione e l’organizzazione del complesso architettonico, ed in particolare con Ruggero II, il castello subisce un vasto intervento di trasformazione e di ampliamento, diventando così uno dei “solatii regii”, i luoghi di delizia dei sovrani normanni. Sempre al primo re normanno di Sicilia va attribuita la realizzazione della bella peschiera chiamata con termine arabo “Albehira”, che era alimentata da una copiosa fonte esistente ai piedi del Monte (la sorgente della Fawwarah), che sgorgava da tre grandi fornici ad arco acuto e da lì veniva incanalata.

L’edificio primitivo infatti, come ancora può vedersi, era circondato per tre lati dall’acqua di un lago artificiale che per le sue grandi dimensioni prese il nome di “Maredolce”, nella quale furono immessi, provenienti da diverse regioni, pesci di svariate specie, come si sa dalle cronache coeve.

 

 

Il Castello di Maredolce è architettonicamente molto importante poiché è l’unico complesso normanno esistente al mondo in cui si possono ammirare il disegno complessivo e il rapporto architettura – paesaggio. Il Castello della Favara rientra nel quadro dell’arte siciliana, si presenta con elementi propri in quanto, pur conservando elementi dell’arte bizantina e araba, acquista anche le caratteristiche costruttive preesistenti in Sicilia. Il palazzo che originariamente doveva svilupparsi, con due elevazioni, intorno ad una vasta corte a

 “L”, con portici coperti da volte a crociera (di cui restano solamente delle tracce), presenta un impianto di forma rettangolare con una rientranza nell’angolo est, che ne spezza la linearità dell’andamento. I prospetti sono scanditi da una serie di archi a “rincasso”, alcuni dei quali rinvenuti in seguito ai lavori di restauro, con finestre di esplicita derivazione Islamica disposte liberamente.

Il prospetto principale del complesso è quello di nordovest, l’unico che non era bagnato dalle acque del lago, dove si aprono quattro varchi che consentono l’accesso nell’edificio, il primo immette nell’Aula Regia, il secondo nella cappella, il terzo all’interno del grande cortile mentre l’ultimo ingresso è tamponato. In questa parte del castello, che oggi troviamo in miglior stato di conservazione, si trovavano gli spazi destinati alla rappresentanza, mentre gli ambienti privati erano disposti lungo i lati meridionale, orientale e occidentale. Una simile distribuzione degli spazi è stata assimilata e confrontata con quella dei “ribat” dell’architettura islamica, veri e propri conventi fortificati che ospitavano i combattenti della fede musulmana. La costruzione poggia su dei grossi conci di tufo.

Il Castello di Maredolce era anche dotato, com’era consuetudine in epoca normanna, di una cappella privata che il re volle dedicare ai Santi Filippo e Giacomo (Ecclesiam Sanctorum Philippi et Iacobi de Fabaria).

 

Pianta del castello

 

Prospetto Nord-Ovest

Prospetto Nord-Ovest

 

Prospetto esterno

 

Prospetto esterno

 

Prospetto esterno

 

Interno. Cupola semisferica

 

La cappella della Favara collocata forse sullo stesso luogo della originaria moschea privata dell’emiro, è formata da una nave unica di forma rettangolare con due campate coperte con volte a crociera e da un piccolo transetto non aggettante che attraversa il presbiterio, che si conclude nell’abside. Il centro del presbiterio è coperto da una piccola cupola semisferica, posta su un alto tamburo ottagonale che si raccorda alla nave mediante nicchie angolari pensili. Nelle pareti si conservano ancora le tracce di affreschi, purtroppo andati perduti, ma ancora visibili ai tempi del Mongitore e del Di Giovanni (XVIII- XIX sec.).

La cappella riprende i temi tradizionali dell’architettura ecclesiale bizantina. Di chiara impronta bizantina è infatti la tipologia dell’impianto ad unica navata, ma anche la sua disposizione, essa ha infatti l’abside rivolto ad oriente secondo la tradizione della chiesa di Bisanzio.

All’esterno del palazzo molti storici citano la presenza di un complesso termale (Vincenzo Auria lo raffigura come una struttura coperta da cupole in un disegno del XVII secolo e Gaspare Palermo lo vede ancora nel 1816), ciò conferma che l’antica ”Portae Thermarum” (Porta Termini), aveva preso questo nome, non per la città di Termini, ma per le terme di Maredolce, che si trovavano distanti qualche miglio dalla città.

Durante la sua plurisecolare vita il castello di Maredolce ha registrato vari cambi di proprietà, che ne hanno determinato continue manomissioni. Infatti, estinta la dinastia normanna, il castello appartenne al demanio regio fino a quando, nel 1328, Federico II d’Aragona lo cedette all’Ordine dei Cavalieri Teutonici della Magione, che lo trasformarono in ospedale, utilizzando le acque termali a fini terapeutici. Nella prima metà del XV secolo fu concesso in enfiteusi alla potente famiglia dei Bologna cui appartenne fino alla fine del XVI secolo, che vi impiantò un’azienda agricola. Nel secolo XVII passato in proprietà del duca di Castelluccio Francesco Agraz, mantiene la stessa funzione, fin quando tra il 1777 e il 1778 si riduce a caseggiato agricolo opportunamente adattato a tale scopo dall’architetto Emanuele Cardona. Negli anni successivi l’edificio cadde in abbandono, le sue strutture andarono in rovina, e tutto il complesso cadde nell’oblio al punto che fu utilizzato come ricovero di animali meritandosi l’appellativo di “Castellaccio”.

Acquisito infine al demanio regionale, la Soprintendenza ai BB.CC. e AA. di Palermo ha condotto un esteso e impegnativo restauro del castello eliminando tutte le superfetazioni che nel tempo avevano cambiato la fisionomia del manufatto, avviando anche, un programma di recupero dell’intera area così da poter essere restituita alla pubblica fruizione.

Poco o quasi nulla rimane però del grande lago, ormai prosciugato da tempo e sostituito da un agrumeto.

 

 

Chiesa di Santo Spirito

o Chiesa dei Vespri

 

La Chiesa di Santo Spirito, anche nota come Chiesa dei Vespri, è un antico edificio religioso medievale di Palermo, il luogo dove ebbe inizio la cosiddetta Guerra del Vespro.

Veduta storica

Veduta storica

 

Francesco Hayez, I Vespri siciliani, 1846, olio ed encausto su tela. Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna.

 

Sono tantissimi i palermitani che si sono recati almeno una volta nel cimitero monumentale di S. Orsola.

Per rendere omaggio ai propri defunti, per assistere ad un funerale di un parente o di un amico. Entrati dall’ingresso principale, si percorre il grande viale alberato alla cui fine un Cristo benedicente sopra una colonna accoglie i morti ed i visitatori. Nella piazza, a sinistra la chiesa dove si celebrano le sacre esequie dei morti.

 

monumento commemorativo ai caduti del 1848 e del 1860, eretto su progetto dell’architetto Giuseppe Damiani Almeyda nel 1885.

 

Veduta della chiesa.

 

È molto antica. Costruita nel 1178 per volere dell’arcivescovo Gualtiero Offamilio, lo stesso che poco dopo avrebbe fatto costruire la cattedrale di Palermo.

La chiesa che adesso si vede isolata, faceva parte di un monastero affidato ai monaci cistercensi. Del monastero non è rimasto più nulla. È stato distrutto nel corso dei secoli mentre la stessa chiesa veniva deturpata da costruzioni che nulla c’entrano con la costruzione originale. Fino a quando nel 1795 l’area venne affidata alla Compagnia di Sant’Orsola per realizzare il cimitero.

Nel 1882, nel VI centenario dei Vespri Siciliani, sull’onda emotiva si arrivò alla determinazione di ripristinare il complesso alle condizioni originarie. Se ne occupò l’architetto Giuseppe Patricolo che guidò i lavori. Alla fine, di tutto il complesso poté essere recuperata solo la chiesa liberata da tutte le costruzioni. Esattamente quella che vediamo adesso, con piccole aggiunte, come il grande rosone centrale che è piuttosto recente.

La chiesa di Santo Spirito, pur con tutte le trasformazioni che ha subito nel corso dei secoli, conserva nelle sue linee architettoniche i tratti della originaria costruzione normanna.

La disposizione della chiesa è quella classica delle costruzioni bizantine: l’ingresso da occidente e l’altare ad oriente, là dove nasce il sole che rappresenta il Cristo.

L’architettura appare piuttosto semplice quasi tozza, mostra lo stile semplice ma elegante delle chiese normanne con le decorazioni a chiaroscuri ottenute alternando pietra lavica e pietra tufacea, contaminazione fra gli stili arabo-normanno e gotico. Le pareti esterne sono decorate con eleganti fasce bicrome.

 

La facciata.

La facciata è realizzata con conci a ricorsi orizzontali, disposti a dente di sega. Si tratta di un’opera incompiuta perché nella intenzione dei restauratori doveva aggiungersi un rivestimento mai realizzato (ma di cui non si ha alcuna idea di come fosse quello originale). Al centro, la porta principale piuttosto semplice e sopra un rosone in vetrata circolare dipinta a fuoco, realizzata nel 1965. Anticamente le porte dovevano essere tre, a destra si intravedono ancora i resti di quello che doveva essere un gradino di ingresso. Adesso, ai lati della porta d’ingresso, si vedono le tracce di ammorsatura di due possibili muri che secondo G. Patricolo dovevano appartenere ad un nartece anteposto già in epoca cistercense alla chiesa. Ipotesi suggestiva ma non suffragata da nessun riscontro strutturale o documentario.

 

Santo Spirito del Vespro – Facciata della chiesa

La parete che guarda verso chi viene è quella Settentrionale ed è la parte più decorata: si vedono archi ornati e curvilinei che si intrecciano sopra una cornice di pomici bruni e conci più chiari: pietra lavica e pietra tufacea che formano un disegno molto armonioso intorno alle finestre ogivali che si aprono nella navata interna. La facciata è a due livelli ed il tipo di chiusura del tetto fa immaginare che in origine dovevano esserci delle terrazze adesso sostituite da una tettoia con canali.

La parete opposta a Sud è del tutto priva di ogni decorazione perché è la parte alla quale si innestavano le costruzioni del convento. L’altezza delle finestre che si aprono fanno supporre che le costruzioni fossero ad un solo livello. In fondo si aprono due porte ogivali che dovevano collegare la chiesa al monastero: si intravedono ancora gli incastri dove probabilmente si innestavano gli archi che conducevano al chiostro.

Prospetto laterale.

 

Prospetto laterale.

La facciata posteriore è chiusa dalle tre absidi, di altezze e dimensioni diverse, riportano gli stessi fregi e decorazioni della facciata settentrionale. Per ogni abside una finestra ogivale.

 

 

Entrati in chiesa ci colpisce l’austera semplicità della costruzione. Né fregi né marmi né altro se non la nuda pietra a conci che si estende fino in fondo al presbiterio. Le tre navate del corpo basilicale sono definite da tre grosse colonne per lato che si chiudono in quattro arcate acute. Le prime due poggiano direttamente sulla parete in cui si apre l’ingresso principale, mentre le ultime due formano due semicolonne addossate al tratto di muro che separa dal santuario.

 

La navata centrale.

 

La zona del presbiterio è chiusa dalle tre absidi semicircolari aggettanti lateralmente. Al centro la più grande, coperta da una grande arcata dalla quale pende un magnifico crocifisso del XV secolo.

 

crocifisso del XV secolo.

 

Il passaggio tra la parte basilicale e quella presbiterale avviene in corrispondenza di un magnifico arco trionfale, che nell’insieme crea una visuale plastica ricca di fascino. Il corpo presbiterale è a pianta centrica con dimensioni vicine a quelle di un quadrato. Due alti pilastri per lato, di forma rettangolare in conci di pietra ben squadrata, formano tre arcate. Le due estreme scaricano su semipilastri addossati alle pareti su cui si aprono le absidi. Sopra si aprono tre finestre ad arco acuto disposte in asse con le arcate.

La zona del presbiterio è chiusa dalle tre absidi semicircolari aggettanti lateralmente.

Al centro la più grande, coperta da una grande arcata dalla quale pende un magnifico crocifisso del XV secolo, recentemente restaurato.

Le due absidi laterali sono più piccole e, come era costume nelle chiese prive di sacrestia, una volta vi erano collocati due piccoli altari che servivano per le mense della prothesis e del diaconicon, dove si custodivano gli oggetti sacri ed i paramenti sacri. In ogni abside una finestra ogivale che immette luce all’interno.

 

abside laterale.

 

finestra ogivale nella zona dell’abside.

 

Interno navata centrale divise da colonne.

 

Nella parete a sinistra nessuna apertura. Si intravedono i conci più nuovi usati per chiudere le cappelle che vi erano state erette nel corso dei secoli. La parete di destra invece è interrotta nella zona del presbiterio dalle due porte che una volta mettevano in comunicazione la chiesa al monastero. Poche lapidi e due tombe addossate alla parte di destra ricordano personaggi illustri che qui sono stati seppelliti. Una menzione va fatta per il sepolcro ormai vuoto dell’abate Giovanni Osca, uno degli ultimi abati cistercensi, rimasto nella memoria per avere dato il nome ad un borgo medievale divenuto poi piccolo comune dell’Hinterland palermitano: Villabate.

Il tetto della navata centrale è a doppio spiovente ed è sorretto da capriate in legno di pino decorate. È realizzato con travetti intarsiati a più colori ed un tavolato con decorazioni di rosette a rilievo di colore rosso. Quello delle navate laterali è ad un solo spiovente con travi, travetti e tavolato decorati nello stesso modo.

 

Lungo i muri perimetrali si aprono le finestre con decorazioni in gesso. Le navate laterali sono illuminate da quattro finestre a sesto acuto più piccole.

Il pavimento, rifatto nel 1968, è realizzato in mattoni di argilla rossi come quello trovato dal Patricolo.

In quella occasione è stato eliminato il gradino che elevava il presbiterio rispetto al corpo basilicale.

Siamo nella sponda sinistra del fiume Oreto, fuori dalle mura della città che distava circa quindici minuti da porta Sant’Agata.

Immerso nel verde dei campi, il monastero era circondato da un muro che doveva trovarsi dove adesso c’è il cancello che chiude il cimitero. Numerosi conversi (monaci laici) si dedicavano prevalentemente al lavoro dei campi mentre i monaci, guidati dall’abate, si dedicavano alla preghiera.

 

Duomo di Monreale

 

A pochi chilometri da Palermo e precisamente alle falde del Caputo, nel parco dei re normanni, sorge austero e solenne il Duomo di Monreale, degno degli antichi romani.

Vista dall’alto del Duomo di Monreale.

 

 

La costruzione venne elevata nei primi anni del regno di Guglielmo II (1166-1189) per la “Tutta pura” Madre di Dio.

Chiesa votiva secondo la tradizione tramandata da Riccardo da S. Germano, perché il Signore “rendesse feconda colei che aveva fatto sterile”. Secondo invece una tradizione popolare, non nota agli scrittori coevi, costruita in seguito ad un tesoro trovato da re Guglielmo II, dopo la rivelazione in un sogno avuto su quel monte reale, durante una partita di caccia.

Comunque sia, essa sembra sia stata eretta presso un’antica Chiesa bizantina detta grecamente di S. Ciriaca e quindi appellata: S. Maria La Nuova.

In grandiose dimensioni essa riprende la pianta della Cappella Palatina, seguita anche nello svolgimento iconografico delle decorazioni musive.

 

 

planimetria, pavimenti e prospetti interni.

 

Di un antico portico che precedeva la chiesa nulla più rimane. L’ingresso principale rivolto ad occidente porta due salde e grandiose torri mozze, che fiangheggiano un portico settecentesco a tre arcate.

 

La porta di bronzo del 1186 di Bonanno Pisano è adorna d’un leggiadro portale a sesto acuto, inscritto in una forma geometrica regolare.

 

La porta in bronzo del 1186 di Bonanno Pisano.

 

Sotto il portico un’altra porta di bronzo, (1185) ma di più modeste proporzioni della prima, chiude questo ingresso laterale, ne è l’autore Barisano da Trani, il quale precedentemente aveva eseguito anche la porta del Duomo di Trani (1175) e quella del Duomo di Ravello (1179). Ornati e figure sono imitati da avori e bronzi bizantini.

 

Porta di bronzo di Barisano da Trani.

 

All’esterno sono interessanti le absidi per le tipiche decorazioni a pietra lavica ed a calcare, che danno una sobria bicromia. Questo sistema decorativo a fasce ed a cerchi con archetti intrecciati su alti piedritti, che ebbe sviluppo in Sicilia, si diffuse poi fino in Campania.

 

All’esterno, nell’area absidale, le tipiche decorazioni intreccio di archi acuti arabeggianti, con alternanza a pietra lavica e di tarsie di calcare.

 

E’ di origine musulmana, ma i motivi appresi dagli arabi sono adattati con gusto dalle maestranze siciliane che lavorarono nel periodo normanno.

L’interno, immenso vano diviso in tre navate, interamente rivestito di mosaici ed incrostato di marmi nella zoccolatura delle pareti ed anche nel pavimento, mostra una magnificenza che non ha l’eguale.

 

L’interno del Duomo con, sullo sfondo, il Cristo Pantocratore.

 

Sebbene in tutta la costruzione prevalgono le caratteristiche dell’arte romanica settentrionale, pure elementi diversi: arabi, bizantini, classici si fondano come in altri monumenti coevi, in dolce armonia. Arabi ornati a palmette a coronamento della zoccolatura delle pareti, archi a sesto acuto di origine orientale, nelle arcate, capitelli corinzi lussureggianti del periodo classico, raccordati ai peducci delle ampie arcate, per mezzo di pulvini.

 

Le colonne del Duomo di Monreale. La prima a sinistra è quella in marmo cipollino.

 

Decorazione musiva della navata destra.

 

Le composizioni musive bizantineggianti rivestono tutte le pareti del tempio, lasciando intatta l’ossatura della monumentale costruzione.

 

Centrotrenta quadri a fondo oro oltre i numerosi medaglioni e figure isolate di santi nei piloni dell’abside, nei sottarchi e nei fregi, formano un insieme decorativo, denso di pensiero e di fede, tutto rivolto alla glorificazione del “Verbo Incarnato”: Cristo Onnipotente, che appare in dimensioni colossali nel catino dell’abside, come a Cefalù e Palermo.

Nella navata centrale scene bibliche per svolgere gli avvenimenti che precedettero l’Incarnazione del Verbo. Nelle pareti delle navi minori episodi evangelici, la vita del Verbo fattosi carne. Infine, presso il presbiterio, in fondo alle navati minori, storie tratte dalle vite degli apostoli Pietro e Paolo con le loro ieratiche figure che dominano nel cavo delle absidette. Ciò che seguì l’Incarnazione del Verbo. Ecco le tre parti della meravigliosa trilogia divina!

 

Presbiterio.

Cristo Pantocratore, 1176, mosaico.

 

abside: i mosaici.

 

Fascia inferiore dei mosaici della parete sud della navata

 

Fascia inferiore dei mosaici della parete nord della navata

 

 

Chiostro di Monreale

 

Vista dall’alto.

 

Nell’angolo meridionale vi è un recinto quadrangolare delimitato da tre arcate per lato. Al centro vi è una fontana la cui acqua scaturisce da una colonna riccamente intagliata a forma di fusto di palma stilizzato, con figure in piedi, teste e foglie a rilievo.

L’acqua fuoriesce in sottili getti da bocche umane e leonine. Le basi delle colonne del chiostro raffigurano un’amplissima varietà di motivi: foglie stilizzate, rosette, zampe di leone, teste di fiere, gruppi di uomini e animali, rane e lucertole. Dopo un lungo restauro, è possibile anche ammirare il Dormitorio dei Benedettini.

 

chiostrino della fontana

 

Fontana all’interno del Chiostro.

 

Fontana.

 

 

Monreale, Duomo, chiostro del monastero benedettino (XII secolo): il capitello W 8, faccia Sud; “L’imperatore Guglielmo II offre la Cattedrale alla Vergine col Bambino”.

 

Capitello del chiostro

 

 

Duomo di Cefalù

 

La cattedrale di Cefalù domina il piccolo centro marinaro che è a sua volta sovrastato da un’alta rupe. Si tratta di uno dei più interessanti monumenti medievali dell’isola che doveva, nelle intenzioni di Ruggero II, che lo fondò nel 1131, testimoniare della potenza della casa degli Altavilla che aveva riconquistato la Sicilia e che ne aveva assunto la corona. La compresenza di elementi architettonici latini, greci ed arabi doveva testimoniare dell’unione delle varie culture all’interno del Regno appena fondato.

Gli studi indicano che il progetto definitivo, che pur venne in seguito ridimensionato, era definito alla morte di Ruggero (1154), che la copertura della chiesa doveva essere stata completata alla fin del XIII secolo anche se la consacrazione avvenne solo nel 1267.

 

Cefalù, il Duomo e la sua Rocca.

 

Particolare del Duomo annesso al territorio.

 

Dall’alto della rupe che sovrasta la città si apprezza la complessa architettura della chiesa.

Vista dall’alto.

 

Due alte torri coeve alla fase iniziale di costruzione della chiesa racchiudono la facciata, datata 1240.

La facciata.

Le torri, di derivazione normanna, danno alla facciata l’aspetto di un castello, caratteristica questa accentuata dalla posizione della chiesa posta al di sopra di un alto terrapieno. La parte inferiore delle torri è aperta da singole feritoie sovrapposte mentre al di sopra si aprono monofore e bifore che comunque non alleggeriscono la struttura. Al vertice si trovano due celle campanarie.

La torre.

 

Al di sotto del portico a tre arcate si apre il portale reale, dalla ricca decorazione marmorea ora piuttosto consunta.

 

Portale.

 

Navate centrali e laterali divise da colonne e archi a tetto acuto.

 

La sezione superiore della facciata è riccamente decorata da due serie di arcate i cui archivolti sono scolpiti con motivi a zig-zag.

 

 

Il fianco della navatella meridionale è caratterizzato finestre a ghiera multipla delimitate da una cornice continua. Molto più ricca è la struttura decorativa della parte absidale, nella quale sono evidenti discontinuità dovute alle varie campagne costruttive.

 

 

Le pareti del transetto sono percorse da alte arcature cieche sottendono aperture ad oculo. Al disopra un ordine di finestre a ghiera multipla è sormontata da una loggia cieca ad archi intrecciati; nelle pareti dell’abside si osservano anche coppie di archi pensili su peducci figurati.

 

 

L’abside centrale è percorsa da alte semicolonne affiancate che dividono il cilindro in cinque specchiature di cui tre sono aperte da oculi; le semicolonne terminano in maniera anomala su una serie di archi pensili. Il progetto iniziale doveva porse prevedere una soluzione ad archi intrecciati, come nelle absidi inferiori.

 

 

Lo sviluppo della pianta, le due torri massicce del prospetto, l’arco a tutto sesto del portale maggiore, gli archi ciechi intrecciati e le decorazioni absidali dell’esterno, a lunghe ed esili colonnine sorreggenti archetti leggermente acuti.

Anche una grandiosa cupola forse doveva essere costruita, considerando le poderose arcate dalla solea.

La pianta è a tre navate, divisa altimetricamente in tre piani terminanti con abisi molto sviluppate in altezza. La navata centrale è coperta da un tetto a travatura scoperta, recante decorazioni goticizzanti del periodo svevo. 

 

planimetria.

 

Pianta.

 

L’interno è caratterizzato da un corpo longitudinale a tre navate su colonne che sorreggono capitelli classicheggianti ed archi acuti fortemente rialzati di gusto islamico.

L’accesso al transetto avviene attraverso un arco trionfale affiancato da colonne con capitelli figurati più basso di quello originariamente previsto.

 

Interno.

 

Il presbiterio conserva tra i mosaici meglio conservati della Sicilia anche se buona parte ha subito restauri nel corso dei secoli. Nel catino domina il busto del Cristo Pantocratore, che preannunzia quello ancor più grandioso del Duomo di Monreale.

 

Presbiterio.

 

Cristo Pantocratore domina nel catino absidale su uno sfavillante fondo dorato.

 

Navata centrale

 

Capitelli figurativi.

capitelli figurati.

 

Nell’ordine inferiore la Madonna orante è affiancata dagli Arcangeli Michele, Raffaele, Gabriele ed Uriele. Sulla volta si trovano Cherubini e Serafini.

 

Nell’ordine inferiore la Madonna orante è affiancata dagli Arcangeli Michele, Raffaele, Gabriele ed Uriele.

 

catino absidale

 

catino absidale.

 

Nell’ordine successivo Pietro e Paolo sono affiancati dagli Evangelisti. In quello inferiore si trovano sei apostoli. Lungo le pareti del santuario, non visibili dall’entrata si distribuiscono simmetricamente figure di profeti e santi.

Alla fine della navata destra si conserva una bella acquasantiera monolitica decorata con quattro leoni.

 

acquasantiera monolitica.

 

 

Il Chiostro

 

Vi si accede da una porta posta nella navata di sinistra.

Fu realizzato nel XII secolo: a pianta quadrata, è chiuso per tre lati da un portico a colonne binate e capitelli figurati che sostengono archi ogivali.

Questo suggestivo ambiente è stato fortemente danneggiato nel tempo: nel XVI secolo un incendio distrusse il lato orientale del portico; della fontana che ornava l’angolo nord-ovest sono rimaste soltanto le fondamenta.

Restaurato nel 2003 dalla Provincia regionale di Palermo, è oggi fruibile ai visitatori.

Al fianco destro della chiesa, decorato da larghe lesene che salgono a racchiudere le finestre, è addossata una delle gallerie superstiti del chiostro che conserva interessanti capitelli figurati.

 

 

Questo chiostro, che costituisce il prototipo di quello di Monreale, conserva le fondamenta della fonte nell’angolo Nord-Ovest.

 

 

Le gallerie sono sorrette da colonne binate (quadruple negli angoli) dai fusti in gran parte lisci. Solo una minoranza presenta una decorazione a frecce. I capitelli sono eseguiti con stili molto diversi tra loro. Uno di questi presenta una decorazione a putti ed animali tra girali di derivazione classica.

 

 

Un capitello è istoriato con scene del Genesi dove le raffigurazioni della nave di Noè diventano elemento decorativo del capitello.

 

 

Un altro è decorato con mostri dal corpo di rettile e volto femminile e da uccelli affrontati.

 

 

Uno dei capitelli presenta su un lato corto la raffigurazione di un gallo e una scritta dedicatoria. Un altro è decorato con originali raffigurazioni di acrobati.

 

 

La maggioranza dei capitelli presenta una decorazione vegetale.