GLI ETRUSCHI

GLI ETRUSCHI

Le origini

La civiltà degli Etruschi è stata studiata fin dal 1700, dopo la scoperta delle prime necropoli in Toscana e in Umbria, ma ancora si discute sulle origini di questo popolo.

Gli archeologi pensano che sia originario proprio di queste regioni, mentre gli studiosi di religione sostengono la sua provenienza dell’Oriente, per la tecnica adottata nella divinazione, simile a quella mesopotamica, che usava il fegato degli animali.

Verso l’VIII-VII secolo a.C. gli Etruschi, che vivevano di un’economia agricola e pastorale, organizzati in villaggi, entrano in rapporti commerciali con i Greci che avevano fondato colonie nell’Italia meridionale. I contatti con queste popolazioni più progredite, che usavano l’alfabeto, esportavano i loro vasi, navigavano per il Mediterraneo alla ricerca di materie prime, inserì le città dell’Etruria meridionale nel flusso dei commerci marittimi.

Il conseguente rapido arricchimento delle poche famiglie di possidenti agrari che già detenevano il potere nelle città dell’Etruria è la causa dell’improvviso fiorire della civiltà etrusca rispetto alle altre dell’Italia.

Gli Etruschi, alleati con i Cartaginesi, manterranno per alcuni secoli il dominio sui traffici nel Mediterraneo. Le città etrusche non formarono però uno stato unitario, pur restando accomunate da legami religiosi.

La decadenza

La civiltà degli Etruschi comincia a declinare quando i Cartaginesi, di cui erano alleati, vengono vinti dai Siracusani a Himera e successivamente essi stessi vengono battuti a Cuma (474 a. C.). respinti anche da Roma, perdono l’accesso all’Italia meridionale e si ritirano nei territori dell’Italia settentrionale. Inizia una fase di conversione, dell’economia mercantilistica a quella agraria basata sul latifondo, che caratterizzerà gli ultimi secoli della storia etrusca.

Nel secolo a. C., quando la cittadinanza romana è data a tutti i popoli dell’Italia, le ricche famiglie etrusche si trasferiranno a Roma; è la fine anche dell’arte etrusca, ma alcuni suoi aspetti, come il gusto per il ritratto o l’uso dell’arco e della volta, verranno ripresi dalla produzione artistica romana.

Il mistero della lingua

La lingua etrusca è scritta con i caratteri dell’alfabeto greco ed è quindi leggibile. A dare origine al mistero della lingua etrusca è la brevità e la scarsità delle scritte ritrovate, che ha reso lungo e difficile conoscere il significato dei vocaboli.

Le ultime scoperte archeologiche hanno portato alla luce a Pyrgi, antico porto di Caere (Lazio), tra i resti di un famoso santuario, alcune lamine d’oro con iscrizioni votive in etrusco e in fenicio. Studiando queste lamine si è arrivati a conoscere un certo numero di vocaboli della lingua etrusca, che anno permesso la comprensione anche di altre iscrizioni.

La religione

La religione etrusca probabilmente adorava nei primi tempi le forze della natura; poi i contatti con la Grecia e l’Oriente trasformarono questi spiriti in dee e dei protettori delle città. Particolare importanza aveva presso gli Etruschi il “culto dei morti”, di cui le necropoli sono documento. Sulle pareti delle tombe sono rappresentate a colori vivaci le scene delle fasce funebri e il viaggio dell’anima nell’aldilà.

Sui sarcofaghi sono scolpiti i ritratti dei defunti in atteggiamenti sereni. Sembra infatti che gli etruschi, terrorizzati dalla morte, cercassero di creare nella tomba un ambiente familiare fatto di oggetti e di allegri ricordi: sulle pareti sono scolpiti gli utensili domestici o dipinte scene di caccia e di pesce con particolare realismo.

La divinazione del futuro

I sacerdoti etruschi praticavano, come quelli della Mesopotamia, l’arte della divinazione del futuro attraverso la lettura dei visceri e in particolare del fegato degli animali uccisi. Vicino a Piacenza è stata ritrovata la forma in bronzo di un fegato che doveva servire per insegnare agli indovini la lettura delle predizioni.

Anche il volo degli uccelli poteva assumere significato di buono o cattivo auspicio: la leggenda di Romolo e Remo è della fondazione di Roma ce lo ricordano.

Le necropoli

L’architettura etrusca era fatta di mattoni e legno, tutti materiali facilmente deperibili. Infatti non abbiamo esempi di case o di templi, anche se da descrizioni romane sappiamo che questi ultimi erano simili al tempio greco prostilo ed erano rivestiti in terracotte colorate.

Ci resta invece di architettura funeraria, che è un po’ un’architettura “in negativo”, scavata anziché costruita, ma che ci dà indicazioni anche sulla forma dell’abitazione. Gli Etruschi infatti credevano che lo spirito dei loro morti continuasse a vivere nel luogo stesso della sepoltura: perciò hanno realizzato tombe che sono delle vere e proprie case dei morti, costruite sul modello delle case dei vivi.

Le necropoli divengono così vere e proprie città con strade e raggruppamenti di tombe. Nell’interno, suddiviso in diversi locali come le abitazioni, sulle pareti dipinte o coperte di stucchi sono rappresentate a colori vivaci scene di vita domestica, di caccia, di pesca.

Nella camera funebre, i defunti sono raffigurati distesi sui sarcofaghi, nella posa di banchettanti. Queste figure sono modellate o scolpite nella pietra; i loro volti, con tratti fortemente accentuati, indicano il ruolo svolto da vivi più che esprimere il carattere.

Tipologia delle Tombe Etrusche

Tombe a pozzetto - X-VI Secolo

Tombe a pozzetto – X-VI Secolo

Fino al X secolo a.C. si praticavano le inumazioni, il semplice seppellimento del cadavere in una fossa scavata nella terra. A partire dal X secolo, questo metodo lasciò il posto all’incinerazione, consistente nella combustione completa della salma; le ceneri erano poi raccolte in un’urna che veniva seppellita. Queste tombe consistono in un pozzo largo un metro e mezzo circa e profondo due metri circa dove veniva posto un contenitore con le ceneri e i resti del defunto. In alcuni casi sono stati trovati anche oggetti, soprattutto in bronzo, appartenenti al defunto.

Tombe a fossa VIII-V Secolo

Tombe a fossa VIII-V Secolo

Sono tombe, per corpi inumati che, nel VIII Secolo a.C., spesso sostituivano le Tombe a Pozzetto per i defunti cremati. Se il terreno non consentiva lo scavo, le tombe rettangolari erano circoscritte utilizzando materiali vari come ciottoli, lastre di pietra, tegole ecc. Sia fuori che dentro la fossa si depositavano gli oggetti rituali e i corredi funebri.

TOMBE A TUMULO VIII-VI Secolo

TOMBE A TUMULO VIII-VI Secolo

Le prime testimonianze di una civiltà monumentale si hanno intorno al 750 a.C. La novità è il culto dei morti e la prosecuzione ideale della vita oltre la morte. Le tombe diventano riproduzioni di case come quelle dei vivi, dove il defunto è accompagnato da un corredo funebre molto ricco e vario. Le tombe inizialmente erano coperte da semplici lastre di roccia, poste inclinate quasi a riprodurre il tetto di una casa. I sepolcreti assumono dimensioni grandiose, saldamente costruiti, scavati nel tufo, con un passaggio o una scala per poter accedere alle camere mortuarie riunite insieme da un comune vestibolo. Questi monumenti funerari per grandezza e forma si distinguono da ogni altra architettura sepolcrale del Mediterraneo. Sono visibili nella Necropoli della Banditaccia di Cerveteri: forme colossali si ergono in campi cimiteriali ben delimitati, esternamente composte da un basamento di tufo circolare costruita con massi spesso decorati (tamburo) e sormontate da un monticello di terra dove cresce la vegetazione spontanea. I tumuli hanno un diametro che può raggiungere i quaranta metri; internamente sono composti da più camere mortuarie raggiungibili per mezzo di un passaggio che scende in profondità. Secondo le credenze Etrusche, l’uomo, nell’ Aldilà, necessita di un ambiente intimo, nel quale trascorrere la vita eterna, dopo la morte, in compagnia degli oggetti e delle suppellettili a lui più famigliari che possedeva in vita.

TOMBE A THOLOS Tardo Periodo Orientalizzante

TOMBE A THOLOS
Tardo Periodo Orientalizzante

Sono derivazione dell’architettura di Micene dove il Tholos era una tomba destinata ai Re. In questa tipologia di tomba assistiamo a uno dei primi esempi di Cupola dell’antichità; costruita contro una collina allineando in cerchi concentrici sovrapposti delle pietre fino alla completa chiusura della volta, il Tholos veniva poi ricoperto di terra ricostruendo così, l’architettura originaria della collina. Il sarcofago del Nobile etrusco era posato, in un piccolo vano accanto al grande locale circolare coperto dalla cupola. Questo tipo di Tomba era usato particolarmente nell’ Etruria Settentrionale, nel tardo Periodo Orientalizzante.

TOMBE A CAMERA VII – IV Secolo

TOMBE A CAMERA
VII – IV Secolo

Introdotte, generalmente, da un Dromos (stretto corridoio di accesso), le Tombe a Camera sono scavate sotto terra in strati di Tufo, Nefro, Macco, Peperino ecc. Sono di forma varia, rettangolari, trapezoidali, quadrate ecc, con uno o più vani collegati fra di loro. Dalle pareti di tufo sono spesso ricavati i letti funebri mentre le porte e i soffitti sono sovente in rilievo e decorati; nel periodo arcaico vengono innalzate nelle tombe a camera, anche colonne con capitelli e scolpiti nella roccia, mobili e suppellettili varie. Sculture e affreschi possono ornare le pareti di queste tombe che risalgono al periodo che va dal VII al IV Secolo a.C. Anche gli affreschi parietali rappresentano, come abbiamo già visto, scene di vita serena che dovevano rallegrare il defunto. Le Tombe, generalmente erano poste in aree, Necropoli, al di fuori delle cinte murarie delle città, e, dal punto di vista della loro classificazione architettonica, vengono oggi distinte in differenti tipologie, peraltro non sempre uguali da autore ad autore, secondo del loro aspetto estetico.

TOMBE A CASSONE VII-V Secolo

TOMBE A CASSONE
VII-V Secolo

Sono costituite da casse in tufo particolarmente pesanti (anche in Nefro o Peperino, tipiche rocce vulcaniche) con un coperchio a due falde o a “schiena d’asino”, che celavano il defunto e le sue suppellettili personali. Anche attorno al Cassone, spesso erano posati altri oggetti funebri. Le Tombe a Cassone sono tipiche del periodo che va dal VII al V Sec. a.C.

TOMBE A EDICOLA VI-V Secolo

TOMBE A EDICOLA
VI-V Secolo

Sono tipiche del Periodo che va dalla metà del VI fino alla metà del V Secolo a.C. Il termine deriva dal latino aedicula, (tempietto) perché ricorda nella forma architettonica un tempio in miniatura. Costruite interamente fuori terra, sono una rarità nell’architettura funeraria etrusca. Venivano interamente realizzate in pietra, con una singola camera sepolcrale. Queste tombe, come quelle a Dado, somigliano a vere e proprie case con il tetto a due falde.

TOMBE A DADO VI – II Secolo

TOMBE A DADO
VI – II Secolo

Sono delle Tombe a Camera scavate in un blocco di roccia o tufo oppure costruite ex-novo e , in questo caso, isolate sui quattro lati (Tomba a Dado vera e propria). Sono generalmente allineate l’una di fianco all’altra, costituendo vere e proprie città dei Morti (Necropoli), con strade e piccoli spiazzi. Sulla facciata si trova la porta d’accesso e una finta porta a lato; all’interno si trovano due ambienti, con banchine per i morti, soffitti riproducesti travi, quasi a voler ricreare un vero e proprio ambiente domestico per il defunto. All’esterno si trovano delle scalette che conducono alla sommità del Dado dove si trovavano altri per il culto. Tipiche delle Necropoli Rupestri, queste Tombe riflettono un cambiamento in atto nella società etrusca, dove si sta affermando un ceto non aristocratico.

TOMBE A COLOMBARIO Dal III Secolo

TOMBE A COLOMBARIO
Dal III Secolo

Sono camere, spesso comunicanti in serie, nelle cui pareti sono ricavate delle cellette quadrate, 20-30 cm. di lato, nelle quali venivano deposte le ceneri dei defunti, in vasi o urne unitamente a poveri corredi funebri. Usate dalle classi più povere, risalgono all’ ultimo periodo etrusco e al periodo romano (III Sec. a.C.).

TOMBE A POZZO I-II Secolo

TOMBE A POZZO
I-II Secolo

Sono Tombe di Epoca Tarda (II – I Sec. a.C.) così chiamate dalla struttura di un vero e proprio Pozzo che scende nel terreno anche per dieci metri, fino a raggiungere la Camera sepolcrale o i cunicoli che ad essa conducono. La discesa attraverso il Pozzo avveniva per il tramite di Tacche o scalini scavati nella parete del pozzo stesso che poteva anche essere rettangolare.

TOMBE A CAPPUCCINA Età Imperiale 31 o 27 a.C.

TOMBE A CAPPUCCINA
Età Imperiale 31 o 27 a.C.

Sono così chiamate per la loro forma che ricorda un cappuccio, sono ricoperte da tegoloni o anche da lastroni di pietra, posti ai fianchi della salma e uniti al vertice. La terra ricopriva poi il tutto, compreso un corredo funerario particolarmente povero così come povera era la classe sociale che usufruiva di queste semplici sepolture.

L’architettura

Le testimonianze architettoniche giunte fino a noi si riducono ai resti di città (mura, porte, fortificazioni) e alle tombe. Vi è da sottolineare che, a differenza dei Greci, gli Etruschi conoscono e utilizzano in architettura l’arco come possiamo vedere nelle porte d’ingresso alle città fortificate (Volterra, Perugia, ecc.). l’arco a pieno centro o a tutto sesto, come viene anche chiamato, è formato da blocchi di pietra trapezoidali (conci) disposti perpendicolarmente alla curva: proprio grazie agli Etruschi esso diventerà il tema caratterizzante dell’architettura romana, che lo applicherà su larghissima scala di edifici, ponti, acquedotti.

PORTA ALL’ARCO DI VOLTERRA

La celebre ed etrusca Porta dell’Arco è il monumento più importante della città, risalente al periodo fra il V e IV secolo a.C., fa parte della cinta muraria in panchino della città, edificata originariamente dagli Etruschi e poi modificata successivamente nel Medioevo quando la città si erse a libero comune.

Si tratta del principale accesso alla città dal lato sud, opposta quindi all’altra porta etrusca di Volterra, Porta Diana, a nord. Sull’arco esterno sono ben visibili tre teste in pietra; si tratta dei tre elementi principali dell’arco (la chiave di volta e i due piani d’imposta), le tre teste scolpite rappresentano Giove (Tinia per gli Etruschi), e i due protettori della città, Castore e Polluce (Uni e Menerva per gli Etruschi).

La porta è realizzata in grandi blocchi di tufo sovrapposti a secco. La vivace cromia è dovuta all’utilizzo di tre tipi diversi di roccia: nei piedritti, infatti, vediamo un calcare arenaceo di color giallastro; l’arco invece è realizzato con un grigio calcare di scogliera; infine, le tre teste scolpite sono in selagite rossastra.

La porta presenta due fornici: uno esterno, sopra descritto con le tre protomi, originariamente difeso da una saracinesca che permetteva una rapida chiusura difensiva, e uno interno, sbarrato da due battenti. Per questo possiamo definirne la pianta a camera.

La storia più recente ci racconta che durante il passaggio del fronte da Volterra nella Seconda guerra mondiale, precisamente il 30 giugno 1944, il comando tedesco in città decise di far saltare la porta per rendere difficoltoso l’accesso alle truppe alleate. La popolazione di Volterra si oppose a tale operazione proponendo, invece della distruzione della Porta, una sua totale ostruzione. Il comando tedesco acconsentì a non distruggere il manufatto se fosse stata ostruito entro 24 ore.

I cittadini di Volterra accorsero in massa e riuscirono a sigillare il monumento in una sola notte utilizzando le pietre del selciato delle vie circostanti. Un bassorilievo collocato nel 1984 nei pressi della porta ricorda questa impresa.

Porta all'Arco di Volterra

Porta all’Arco di Volterra

La scultura

La scultura etrusca è influenzata da quella greca e ne riflette le varie fasi: ma gli Etruschi la reinterpretarono e la adattarono alla propria sensibilità di popolo italico, dando vita ad un prodotto culturalmente originali. I materiali usati dagli scultori sono la creta, il bronzo, e pietre tenere come il tufo e l’arenaria.

I canopi etruschi

Legati ad una destinazione funeraria sono i canopi (urnette che dovevano contenere le ceneri dei defunti) in bronzo o terracotta, che, in maniera molto stilizzata imitano una figura umana (VII – VI secolo a.C.).

La vastissima quantità di reperti di questo tipo trovati presso Chiusi ci offre notevoli spunti, a partire dallo stile. Normalmente le urne più antiche hanno solo delle anse ai lati, al pari di ogni vaso d’uso comune, ma a volte sono accennate delle braccia con tanto di mani, mentre sono sprovviste d’ogni altro tipo di decorazione, nel segno del minimalismo.

L’attenzione, evidentemente, doveva focalizzarsi sul volto, la vera particolarità del canopo. In questo esemplare del VI sec. a.e.v. il volto è piuttosto realistico ed è modellato direttamente sul coperchio dell’urna, ma si pensa che il più delle volte si trattasse di idealizzazioni del defunto, mentre nelle fasi arcaiche i tratti fisionomici umani sono abbozzati in modo schematico.

Canopo Etrusco

Canopo Etrusco

Siamo davanti ad una grande statua in terracotta che conserva l’originale colorazione, evidente nel contrasto tra il colore bruno delle parti nude del corpo e il bianco degli abiti orlati di nero. Infatti, anche se non siamo abituati ad immaginarlo, le opere d’arte antica erano vivacemente colorate.

Si tratta del dio Apollo raffigurato con quel particolare sorriso detto arcaico, che serve ad accentuare l’espressione del viso; cammina deciso verso sinistra: cosa si prepara a fare? vuole forse raggiungere qualcuno?

Apollo di Veio

Sicuramente legati alla grande scultura greca arcaica, e in particolare allo schema dei kouroi, di cui interpretano in maniera “provinciale” le principali caratteristiche, sono il cosiddetto Apollo di Velo.

Nel diffuso anonimato che caratterizza di norma la produzione artistica antica poche sono le personalità che emergono con chiarezza: una è quella del “Maestro dell’Apollo”, artista dal nome ignoto, del quale gli studiosi hanno tuttavia riconosciuto la scuola di appartenenza e le mirabili doti artistiche.

Il dio incede a piedi nudi con il braccio sinistro minacciosamente teso in avanti e l’altro abbassato, forse a reggere l’arco: per comprendere il suo atteggiamento bisogna mettere in relazione l’Apollo con la statua che gli è di fronte.

Quest’ultima raffigura Eracle che ha appena catturato la cerva dalle corna d’oro, sacra alla dea Artemide. È questa una delle Dodici fatiche che l’eroe doveva portare a termine come espiazione per aver ucciso moglie e figli in preda a un attacco di follia.

Ecco spiegata la rabbia del dio Apollo che si appresta a lottare con Eracle per liberare la cerva, sacra a sua sorella.

Apollo di Veio, 510 - 500 a.C., Terracotta policroma, 186 x 78, Roma, Museo Nazionale etrusco di Villa Giulia

Apollo di Veio, 510 – 500 a.C., Terracotta policroma, 186 x 78, Roma, Museo Nazionale etrusco di Villa Giulia

Sarcofago degli sposi

Sarcofago degli Sposi, 520- 510 a.C. Terracotta, altezza 1,41 m, lunghezza 2,20 m. Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.

Sarcofago degli Sposi, 520- 510 a.C. Terracotta, altezza 1,41 m, lunghezza 2,20 m. Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.

Il cosiddetto Sarcofago degli Sposi è un reperto archeologico etrusco in terracotta dipinta, risalente al tardo VI secolo a.C. e oggi conservato nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma. Si tratta di una delle opere arcaiche etrusche più celebrate e conosciute, sia per l’alta qualità artistica che la caratterizza sia per l’oggettiva esiguità delle statue che l’Etruria ci ha lasciato. Fu ritrovato, assieme a un altro manufatto assai simile (oggi al Louvre), durante gli scavi ottocenteschi nella Necropoli della Banditaccia a Cerveteri.

A dispetto del nome e dell’aspetto, non è un sarcofago tradizionale, come quelli egizi, dentro cui si distendeva la salma, magari mummificata, bensì una grande urna cineraria destinata a contenere i resti di due persone. Lo si verifica a un’analisi ravvicinata ma si può già intuirlo notando l’anomalo segno di congiunzione verticale al centro. Tracce di pittura (più evidenti nella versione del Louvre) provano che in origine tutta l’opera era vivacemente colorata.

A dispetto del nome e dell’aspetto, non è un sarcofago tradizionale, come quelli egizi, dentro cui si distendeva la salma, magari mummificata, bensì una grande urna cineraria destinata a contenere i resti di due persone. Lo si verifica a un’analisi ravvicinata ma si può già intuirlo notando l’anomalo segno di congiunzione verticale al centro. Tracce di pittura (più evidenti nella versione del Louvre) provano che in origine tutta l’opera era vivacemente colorata.

Una coppia al banchetto

Due coniugi sembrano partecipare a un banchetto. Sono infatti raffigurati sdraiati e semidistesi su un elegante triclinio, che presenta gambe adornate di volute e un materasso munito di coperta e cuscino. L’uomo, possente e muscoloso, è a torso nudo e piedi scalzi. Porta i capelli lunghi e la sua barba è ben curata.

Appoggia affettuosamente il braccio destro sulla spalla della moglie, che invece indossa una lunga veste e un mantello, calza eleganti scarpette a punta e ha i capelli, pettinati a trecce, in parte coperti da un tipico copricapo a calotta. I due sposi hanno le mani vuote ma un tempo dovevano tenere oggetti conviviali, come per esempio delle coppe, oppure del cibo. Forse la moglie è colta mentre si accinge a versare del profumo sulla mano del marito.

Lo stile

La parte inferiore dei corpi risulta piuttosto schiacciata e rigida. Questo porta ad una mancanza di simmetria nella composizione, che sposta tutto il peso verso destra rompendo l’equilibrio della scena: ma proprio questa scelta riesce a rendere l’immagine più fresca e spontanea. L’espressione sorridente dei due non deve ingannare, giacché si tratta del cosiddetto sorriso arcaico, tipico dei coevi kouroi greci, ossia delle tipiche sculture che rappresentano giovani vigorosi in piedi.

La Chimera di Arezzo

Chimera di Arezzo, V-IV secolo a.C., bronzo, altezza 80 cm. Firenze, Museo Archeologico Nazionale

Chimera di Arezzo, V-IV secolo a.C., bronzo, altezza 80 cm. Firenze, Museo Archeologico Nazionale

La Chimera di Arezzo è un’eccezionale scultura in bronzo realizzata fra la fine del V e gli inizi del IV secolo a.C., esposta al Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Fu casualmente rinvenuta il 15 novembre 1553 durante i lavori di scavo per la realizzazione di un nuovo bastione delle mura di Arezzo, nei pressi della Porta san Lorentino, e portata a Firenze per volere di Cosimo I de’ Medici.

Secondo il mito la Chimera è un mostro a tre teste – di leone, di capra e di serpente – generato da Echidna (divinità metà donna e metà serpente) e Tifone, progenitori anche della Sfinge, dell’Idra di Lerna e di Cerbero: incuteva il terrore in Licia, dove fu uccisa dall’eroe Bellerofonte a cavallo di Pegaso. Questo racconto fu rielaborato in Etruria, dove l’opera venne realizzata da artigiani etruschi (che si occuparono della fusione in bronzo) con – secondo alcuni studi – l’aiuto di maestranze greche (per l’esecuzione artistica del modello).

La testa di capra ferita, reclinata di lato

La testa di capra ferita, reclinata di lato

La Chimera di Arezzo rappresenta la fiera indomita – ormai colpita a morte – mentre arretra per sferrare l’ultimo disperato attacco a Bellerofonte: la bestia è ritratta in tutta la tensione del corpo, con i nervi in evidenza, i muscoli tesi, la criniera a ciocche irsute ed appuntite, mentre la coda a forma di serpente morde la testa di capra, ormai sanguinante e riversa di lato.

Sulla zampa anteriore si legge l’iscrizione “tinscvil“, incisa prima della fusione, che permette di riconoscere in quest’opera straordinaria un dono votivo alla divinità Tinia (assimilabile al Giove dei Romani): la grafia riporta alla zona della Val di Chiana, mentre il testo si trova anche su oggetti votivi rinvenuti a Cortona e attestati in uso a Orvieto.

Al momento della scoperta il bronzo non era integro: le zampe di sinistra vennero grossolanamente ricomposte utilizzando colate di piombo, secondo una tradizione – risultata infondata – che attribuiva l’intervento a Benvenuto Cellini. La coda invece, pur recuperata, non venne mai attaccata e le fu preferita quella apposta da Francesco Carradori nel 1785, ancor oggi presente: si tratta di una coda reinterpretata, con la testa del serpente che morde uno dei corni della testa di capra, mentre probabilmente nella versione originale il serpente era rivolto in avanti, all’attacco dell’avversario. La fiera era completa di occhi, andati perduti, e di zanne, realizzate a parte in un metallo diverso e poi inserite.

Sin dal suo fortuito ritrovamento la Chimera di Arezzo divenne un formidabile simbolo di propaganda: essa incarnava le forze ostili e selvagge che il potere mediceo aveva sconfitto per costituire il proprio regno, di cui Cosimo I si fregiava del titolo di “Granduca d’Etruria”. Come scrisse il Vasari, “ha voluto il fato che la si sia trovata nel tempo del Duca Cosimo il quale è oggi domatore di tutte le chimere” (“Ragionamento tra Vasari e il Principe Francesco”, Giornata Seconda, Ragionamento Terzo). Per questo motivo simbolico l’opera venne collocata in Palazzo Vecchio, sede del potere de’ Medici, nella sala di Leone X che – sempre secondo il Vasari – “con la sua liberalità e virtù vinse tutti gli uomini”.

La Chimera di Arezzo venne spostata da Palazzo Vecchio solo nel 1718, quando per ordine di Cosimo III fu collocata nella Galleria di Mezzogiorno degli Uffizi. Da qui venne trasferita nel 1870, quando in occasione della costituzione del Regio Museo Archeologico di Firenze fu installata al primo piano del nuovo Museo, nella Galleria dei Bronzi. Oggi si ammira sempre al primo piano, dove condivide la XV sala con il celebre Arringatore.

La pittura

La pittura è probabilmente l’eredità artistica più importante lasciataci dagli Etruschi. Si tratta soprattutto di affreschi eseguiti sulle pareti delle tombe sigillate: proprio per questa ragione arrivati fino a noi, ben conservati e in gran numero.

Il senso pratico degli Etruschi, la loro cultura basata essenzialmente sulle esperienze derivate dalla vita quotidiana e il desiderio che i morti vengano, per così dire “rallegrati” dalle immagini dipinte, spiegano la prevalenza di temi legati alla vita stessa del defunto (scene di caccia e di pesca, di vita familiare, di giochi, di danze).

I colori sono molto vivaci, quasi a volere attenuare l’oscurità e la tristezza della camera funeraria. Le figure si stagliano dal fondo attraverso i contorni nettamente segnati e l’uso uniforme del colore (non è utilizzato il chiaroscuro).

Affresco della Tomba dei Leopardi

Tomba dei Leopardi, necropoli di Tarquinia (480-470 a.C.)

Tomba dei Leopardi, necropoli di Tarquinia (480-470 a.C.)

La pittura etrusca è soprattutto un’arte funeraria infatti molte immagini pittoriche etrusche decorano le tombe con scene di vita quotidiana, scene rituali con danze e musica, banchetti. Questo affresco è stato realizzato con colori e acqua su muro bagnato. L’immagine rappresenta tre musicisti di profilo in movimento. La scena ha un andamento ritmico. Il primo musicista è vestito di rosso e tiene in mano il Kylix. Il secondo musicista vestito di giallo suona il doppio flauto. Il terzo musicista suona la lira. I colori sono accesi. La scena è luminosa. L’espressione dei volti è allegra. Lo sfondo rappresenta alcuni rami di ulivo. Le figure sono stilizzate e contornate di nero in modo tale da staccarsi dal fondo. L’obiettivo di questo affresco è di far partecipare il defunto che ricordando gli oggetti familiari e vede la scena di buon auspicio.

In alto sono rappresentati due leopardi a protezione del defunto. In basso ai lati vi sono gli etruschi semisdraiati sul triclinio: il divano sul quale mangiavano. Uno dei personaggi tiene in mano un uovo simbolo di rinascita. Il banchetto è in onore del defunto.

La tomba degli auguri

Tomba degli àuguri di Tarquinia 530-520 a.C.

Tomba degli àuguri di Tarquinia 530-520 a.C.

Questo affresco all’interno della tomba degli auguri rappresenta due etruschi probabilmente sacerdoti che compiono un rito funebre in onore del defunto. I personaggi sono vestiti con una tunica. La scena è luminosa. L’espressione dei volti è severa. In centro una porta rossa chiusa che simboleggia il passaggio dalla vita terrena alla vita ultraterrena. La porta è chiusa poiché esprime il mistero dell’oltretomba infatti a quei tempi gli etruschi non sapevano nulla del futuro dei defunti. Questo affresco esprime la preoccupazione del popolo etrusco.

La tomba della caccia e della pesca

La tomba della caccia e della pesca (520 - 510 a.C. circa)

La tomba della caccia e della pesca (520 – 510 a.C. circa)

Le tombe più sontuose erano più grandi, infatti non vi era soltanto la camera sepolcrale, ma anche un atrio. Inoltre il più delle volte il defunto veniva rappresentato all’interno della tomba. Questa tomba è a 10 m. di profondità ed è formata da due stanze, la prima è un atrio affrescato da varie scene, la seconda stanza è la camera sepolcrale.

Scene di caccia e pesca

Scene di caccia e pesca

La camera sepolcrale è affrescata con varie scene di caccia e di pesca. Sono presenti delfini, uccelli, ed alcuni pescatori su una barca.

Banchetto Matrimoniale

Banchetto Matrimoniale

Uno dei temi più cari agli etruschi è il banchetto matrimoniale presente anche nella tomba della caccia e della pesca. In questa immagine gli sposi partecipano al banchetto in posizione semisdraiata. La donna con una mano tiene il petto dello sposo con l’altra gli porge una ghirlanda. L’uomo porge un vassoio. Gli uomini venivano rappresentati con pelle scura, le donne con pelle chiara.