La nascita dell’Arte Italiana

La nascita dell’arte italiana

Mentre la rinascita dell’architettura avviene a partire dall’anno Mille, bisogna aspettare ancora qualche secolo prima che un analogo fenomeno interessi le arti figurative. Durante il periodo romanico anche la pittura e la scultura conoscono una più intensa produzione, e ciò soprattutto per la decorazione delle cattedrali, ma non conoscono un reale rinnovamento stilistico. Le immagini appaiono bloccate in forme stereotipe, realizzate con povertà di mezzi espressivi. Le sculture, sempre a bassorilievo, hanno figure rigide e geometrizzate. Sia in pittura che in scultura è del tutto sconosciuto il problema della visione in profondità: le figure che animano una scena sono poste su un unico piano di rappresentazione, con evidenti effetti di sproporzione e di irrazionalità spaziale.
Di fatto, in questo periodo, il maggiore centro di irradiazione artistica rimane sempre Bisanzio, e da lì il gusto dell’icone dorate pervade ancora l’Europa occidentale.

L’avvio di un’arte figurativa di reale ispirazione europea inizia proprio quando si avverte la necessità di superare gli stilemi figurativi bizantini. Ciò avviene a partire dal XIII secolo in poi, in due aree geografiche precise: l’Italia centrale e la Francia.
In Italia il problema di superare l’arte bizantina viene impostato sul ritorno al naturalismo e alla razionalità terrena della visione, in opposizione al misticismo antinaturalistico bizantino.

In Francia, il superamento avviene sul piano della significazione: non più un’arte di ispirazione religiosa che rimandasse ad un ordine teocratico delle cose, ma un’arte laica che esprimesse i nuovi ideali cavallereschi dell’Europa cortese.
Sul piano stilistico le differenze tra arte italiana e arte francese, o gotica, sono notevolissime. La prima imbocca decisamente la strada della tridimensionalità, per giungere a quella rappresentazione del reale che sia in armonia con i reali fenomeni della visione umana. La seconda si mantiene invece sul piano di una concezione antinaturalistica dell’arte, dove alla razionalità della rappresentazione viene preferito l’effetto decorativo delle linee curve e dei colori vivaci.

Tuttavia l’arte figurativa sia gotica che italiana mostrano, nel corso del XIII e XIV secolo, una identica destinazione: entrambe sono realizzate come decorazione o arredo degli edifici architettonici, in particolare edifici religiosi: chiese, cattedrali, monasteri, pievi, ecc. E questa particolare subalternità delle arti figurative all’architettura determinò una precisa differenziazione tipologica tra arte italiana e arte gotica. L’edificio gotico ha uno scheletro strutturale di tipo lineare che riesce a liberare ampie superfici da destinare a vetrate. In tali edifici, ridottisi le superfici murarie, l’affresco divenne impraticabile: nacquero così le vetrate istoriate. Le immagini furono realizzate in vetri dai colori vivaci connessi tra loro da sottili piombature, e collocate nei vani delle finestre. In Italia questa rigida concezione strutturale del gotico non ebbe mai ampia diffusione, così che l’architettura praticata in quei secoli offrì sempre ai pittori ampie superfici murarie su cui era possibile intervenire con la classica tecnica della pittura ad affresco.
In un primo momento fu l’arte gotica a egemonizzare il panorama artistico europeo, e ciò fino alla metà del XV secolo. In seguito, con lo sviluppo del rinascimento, fu invece l’arte italiana ad imporre la propria visione artistica all’intero mondo occidentale. Il percorso che l’arte italiana compì per giungere alla nascita del rinascimento durò circa due secoli, e può essere collocato alla prima metà del Duecento. Tema fondamentale per ritrovare una autonoma vocazione artistica fu lo studio dell’antico. Le passate grandezze dell’arte romana mostravano sempre più non solo la superiorità dell’arte classica rispetto a quella medievale, ma indicavano chiaramente la differenza tra l’arte occidentale e quella bizantina. In particolare la prima ha tre fondamenti che all’arte bizantina sono sconosciuti: il naturalismo, il senso della bellezza terrena, il gusto per la narrazione. Ed è proprio partendo da questi tre parametri che l’arte italiana iniziò il suo percorso di affrancamento rispetto all’arte bizantina.
I primi fermenti di questo nuovo atteggiamento culturale – da ricordare che si manifestano negli stessi anni in cui nasce anche la lingua italiana – hanno origine nell’Italia meridionale all’epoca di Federico II. Ma la scomparsa di Federico II nel 1250, fece spostare il baricentro dell’attività artistica e culturale nell’Italia centrale, in particolare in Toscana. Ed è qui che nascono o operano i grandi protagonisti dell’arte italiana. I Pisano, famiglia di scultori il cui capostipite Nicola era forse originario della Puglia, operarono tra Pisa, Siena ed altre città del centro Italia. In particolare, dallo studio degli antichi sarcofagi romani, trassero indicazioni per il recupero dei volumi e dello spazio. Le forme divennero più plastiche e salde, acquistando nel contempo naturalismo e verità. Le loro composizioni, benché a basso rilievo, agivano in uno spazio virtuale ampio, dove i piani di rappresentazione si sviluppavano in profondità. Fu così definitivamente superato il limite della scultura romanica di porre le figure su un unico piano di rappresentazione. E con Giovanni Pisano, il maggiore artista italiano del Trecento, la scultura superò anche il limite che aveva connotato tutta la produzione medievale: il ricorso esclusivo al bassorilievo. Con lui ricomparve, dopo quasi mille anni, la scultura a tutto tondo.
Tra fine Duecento e inizi Trecento anche la pittura aveva trovato la sua precisa autonomia, e ciò grazie soprattutto a Giotto. Egli fu il primo pittore a produrre immagini che possono essere definite realistiche. La sua principale tecnica fu l’uso del chiaroscuro. Sfruttando la diversa tonalità che il colore assume in funzione della luce che colpisce gli oggetti e i corpi, riuscì a dare apparenza tridimensionale alle sue figure. Ma egli ebbe chiari anche altri problemi della riduzione della visione reale in immagini bidimensionali. Tra questi lo scorcio e la prospettiva, che egli iniziò ad applicare in maniera intuitiva, con l’anticipo di quasi un secolo rispetto ai pittori rinascimentali. La sua attività di artista lo portò ad operare in molti centri della penisola, da Roma a Milano, da Firenze a Napoli, da Assisi a Padova, dando ampia diffusione alla sua nuova visione artistica.
Nel Trecento un altro centro mostrò notevole vitalità nell’area toscana: Siena. Qui si affermò, al contrario di Firenze, una visione artistica che la avvicinava maggiormente alla Francia e allo stile gotico. Numerosi furono i protagonisti di questo gotico senese, anche se tra tutti spicca Simone Martini. Nello stesso periodo a Siena l’attività artistica dei fratelli Pietro e Ambrogio Lorenzetti sembrò introdurre nell’arte senese la precisa influenza delle novità giottesche. Ma la loro scomparsa avvenuta nel 1348, contagiati dalla «peste nera» che fece numerosissime vittime anche tra gli artisti, interruppe l’evoluzione del linguaggio pittorico giottesco, e non solo in ambito senese. Nella seconda metà del Trecento furono gli artisti gotici ad imporre nuovamente la loro visione artistica, basata sulle linee curve e leziose, realizzata con colori puri stesi a campiture uniformi, dove prevaleva la evocazione fantastica di un mondo fatato e magico che tanto successo riscuoteva nell’ambito di quelle corti europee che vivevano l’autunno del medioevo.
Il gotico aveva solo vinto una momentanea battaglia. Agli inizi del Quattrocento Firenze produsse alcuni dei massimi geni artistici mai esistiti – Brunelleschi, Masaccio, Donatello – che resero improvvisamente inattuale lo stile gotico, così come Giotto aveva fatto con lo stile bizantino. Da questo momento ebbe inizio il Rinascimento, e con esso la più grande stagione artistica mai verificatasi in Italia. L’arte visiva giunse al massimo controllo possibile della rappresentazione naturalistica, consentendo agli artisti il pieno controllo della propria espressione figurativa.

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