Lettere a Theo (L’epistolario di Van Gogh)

Non sarebbe probabilmente possibile comprendere fino in fondo la vicenda artistica ed umana di Van Gogh se non si potesse disporre del “suo sterminato epistolario”; un vero e proprio diario che comprende ben 821 lettere scritte tra il 1872, quando aveva diciannove anni, è il 1890 (l’ultima, scritta il 27 luglio, il giorno stesso del suo suicidio, venne trovata addosso al pittore dopo la sua morte). Migliaia di pagine, corredate spesso di schizzi e disegni (una vera opera nell’opera), cui il pittore olandese affidò le confessioni più disarmanti e le rivelazioni più incredibili, indagine incessante e testimonianza amara della propria solitudine.

Veri amici non ebbe mai, e se li ebbe, furono rapporti intensi ma brevi. In balia di sé stesso, ma alla disperata ricerca di certezze, trovò nella formula epistolare lo strumento più adatto per comunicare con gli altri. Il confidente privilegiato di Vincent fu il fratello Theo, al quale vengono indirizzate ben 668 lettere: le altre 153 ebbero come destinatari gli amici pittori Anthon Van Rappard (58) ed Emile Bernard (22),  la sorella Willelmina (22), la madre e i genitori (16), e poi ancora i con i Ginoux, gli amici albergatori di Arles, il pittore Gauguin, Signac, Boch, Levens, lo zio Cornelis, la cognata Johanna Borger e altri pochi conoscenti.

Un patrimonio ricchissimo che, dapprima conosciuto attraverso parziali e incomplete edizioni, venne successivamente pubblicato nel centenario della nascita dell’artista (1953) a cura della cognata Johanna, moglie del fratello Theo. A questa segui una seconda edizione riveduta e ampliata nel 1956, edizione che pubblica nella lingua originale ( olandese, francese e inglese) il vasto carteggio vangoghiano, riproducendo inoltre molte lettere nel quale l’artista accompagna con schizzi e abbozzi l’idea del dipinto a cui in quel momento stava lavorando. Questo enorme e complesso materiale costituisce una specie di originalissima autobiografia dalla quale viene fuori il ritratto di un uomo infelice, tormentato è solo; e insieme dotato di finissima acutezza di analisi.

Autodidatta, lettore instancabile e attento, curioso per natura aperto ad ogni sollecitazione le sue letture spaziavano da Hugo ai de Goncourt, da Balzac e Zola a Breton e Cantyle (tanto per ricordare gli autori che andavano per la maggiore).

Tuttavia, ciò che più lo interessava e che alla fine assorbiva ogni sua vitalità interiore era pur sempre la pittura.

Le proteste e i sentimenti che riecheggiano nelle sue lettere, gli appelli spesso strazianti al fratello, i fallimenti e le incomprensioni, tutto si placa, diventa lontano non appena inizia a parlare dei suoi quadri, del perché ha usato un colore piuttosto che un altro, di come ha risolto un problema, di quali sensazioni ha provato di fronte un soggetto e di come le ha tradotte sulla tela.

Sono ben pochi i dipinti del maestro olandese che non trovano una minuziosa esauriente descrizione nelle sue lettere, al punto che i falsari per paura di essere smascherati “lettere alla mano”, sono stati costretti a concentrare la loro attenzione sulle opere eseguite dal maestro nel periodo parigino (1886- 1889), quando cioè, Vincent abitava con Theo, il suo epistolario si era fatto molto scarno.

Sempre lucido, chiaro, presente a se stesso, quando finì nelle secche della sua misteriosa malattia divenne se possibile più schematico, telegrafico, essenziale, nella pittura come nelle lettere.

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